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L'eccidio di Ancona a Villa Rossa

 a cura di Luciano Lucci lucci@racine.ra.it

La settimana rossa
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Narrativa sulla "Settimana Rossa"

 

 

 

Il 7 giugno 1914, coincidente con la festa dello Statuto del Regno, erano stati indetti in tutta Italia dei comizi per l'abolizione delle Compagnie di Disciplina nell'Esercito e per la liberazione dei soldati Augusto Masetti ed Antonio Moroni. Il Masetti, colpevole di avere sparato contro il proprio comandante, tenente colonnello Stroppa al momento di partire per la guerra libica era internato in un manicomio criminale; il Moroni invece era stato assegnato alle Compagnie di Disciplina per ragioni esclusivamente politiche. 
  • Ma il presidente del consiglio dei ministri, Antonio Salandra, proibiva queste riunioni di protesta.

Ad Ancona la manifestazione ebbe il suo normale svolgimento avendo assunto un carattere privato. 

Quel mattino ad Ancona pioveva, come pure a Ravenna e ad Alfonsine. La città era il punto di forza dei partiti d'estrema. Qui aveva la sua sede centrale il sindacato dei ferrovieri, che nell'aprile precedente aveva condotto una dura lotta per miglioramenti alla categoria. 

Qui si era tenuto il Congresso Del Partito Socialista ufficiale, cioè massimalista, che due anni prima a Reggio Emilia aveva espulso l'ala riformista, e che qui ad Ancona decise di liberarsi degli elementi massonici.

Ad Ancona inoltre c'era un forte nucleo di anarchici guidati da Errico Malatesta, reduce da anni di prigione e di esilio, rientrato in Italia da meno di un anno.

Il Partito Repubblicano era da sempre alla guida della città, e aveva trovato nel giovane romagnolo Pietro Nenni, da poco direttore del "Lucifero" un polemista di valore ed un agitatore dall'oratoria infuocata.

La festa dello Statuto anche ad Ancona non si era potuta svolgere, come predisposto. La pioggia cessò solo nelle prime ore del pomeriggio e sul tardi, da un ammasso di nubi, spuntò il sole..

Un comizio fissato nella mattinata, che doveva svolgersi in Piazza del Papa, ma che era stato proibito, dato che pioveva, venne spostato dai dirigenti dei partiti, al pomeriggio alle 16, a Villa Rossa, sede dei repubblicani di Ancona.

Gli aderenti ai partiti di estrema sinistra, repubblicani, anarchici, socialisti, si trovarono alla Villa Rossa, in circa cinquecento, per ascoltare diversi oratori. Parlò per primo il sindacalista Pedrini per la Camera del lavoro; dopo di lui Pietro Nenni, poi Errico Malatesta, il noto anarchico che era un oratore di eccezionali qualità; il socialista Ercole, il sindacalista Ciardi, quindi i Pelizza, l'anarchico che da tutte le piazze tuonava contro le compagnie di disciplina.

Poco dopo le 18 il comizio ebbe termine ed i partecipanti uscirono da Villa Rossa. Sulla strada c'erano carabinieri ed agenti che dovevano impedire il formarsi di un corteo diretto al centro, perché in quel momento in piazza Roma stava suonando una banda militare e si volevano evitare incidenti. 

In realtà in quella piazza non avvenne nulla: la banda dell'Istituto del Buon Pastore stava sostituendo quella militare che aveva suonato fino ad allora, quando si udirono urla e spari ripetuti.

Infatti, nel tentativo di avviarsi verso le vie del centro ed in particolare in piazza Roma per inscenarvi una dimostrazione, la folla tentò di sfondare i cordoni delle forze dell'ordine. Vennero allora suonati i rituali tre squilli di tromba per invitare tutti a disperdersi, ma nell'inevitabile scontro le pallottole dei carabinieri colpirono a morte  tre giovani lavoratori: i repubblicani Nello Budini (24 anni) e Antonio Casaccia (17 anni), che morirono all'ospedale e l'anarchico Attilio Giambrignani (22 anni), morto sul colpo. Molti altri furono feriti. I carabinieri si giustificarono dicendo: "Siamo stanchi di ricevere insulti e bastonate. Ieri gli studenti, oggi i sovversivi: tutti si scagliano contro di noi che dicono carne da macello, con pietre e bastonate. Questa volta invece è toccata a loro".

La notizia dell'eccidio sollevò nel paese la protesta contro gli assassini

  • Dall'eccidio di Ancona ebbero poi inizio quei disordini della Romagna e delle Marche che presero il nome famoso di "Settimana Rossa". 
  • Quella sera stessa iniziò lo sciopero generale spontaneo di protesta ad Ancona ed il giorno dopo la Confederazione del Lavoro, pressata dalla Direzione del Partito Socialista, lo proclamò a partire dalla mattina del 9, martedì, in tutta Italia. Gli avvenimenti che seguirono furono di una gravità eccezionale e in particolare modo a Roma, Firenze, Torino, Milano, Napoli, Parma, Bologna, fino a Palermo, lo sciopero assunse aspetti di estrema violenza, con disordini, e scontri cruenti fra scioperanti e forza pubblica. 
  • Ma fu soprattutto in Romagna e ancor di più nel Ravennate, dove più forte era il radicamento delle organizzazioni politiche e sindacali popolari e dove maggiore era il grado di politicizzazione delle masse, e maggiore, di conseguenza, l'attesa di cambiamento politico e sociale, che lo sciopero prese i contorni di una vera e propria rivolta; tanto che il presidente del Consiglio Antonio Salandra, intervenendo il 12 giugno alla Camera, sostenne addirittura l'esistenza di un " concerto criminoso" a monte delle sollevazioni popolari romagnole (e marchigiane), un autentico piano rivoluzionario volto al sovvertimento delle istituzioni monarchiche.
  • Se in qualche modo le affermazioni di Salandra risentivano dei pregiudizi sul presunto congenito ribellismo dei romagnoli, è però certo che la provincia di Ravenna poteva dirsi, a ragione, una delle più "rosse" d'Italia.
  • In alcune città come Roma e Ancona le locali camere del Lavoro indissero subito lo sciopero generale.
    Mentre altrove ci furono indecisioni e tentennamenti dovuti al partito socialista, al partito repubblicano e alla Confederazione Generale del Lavoro.

Mussolini e la settimana rossa

  • Sulla Settimana Rossa, nel giorno successivo alla sua conclusione, Mussolini scrisse: “Non è stato uno sciopero di difesa ma di offesa. Lo sciopero ha avuto un carattere aggressivo. Le folle che un tempo non osavano nemmeno venire a contatto colla forza pubblica, stavolta hanno saputo resistere e battersi con un impeto non sperato… si sono assaltati i negozi degli armaioli; qua e là hanno fiammeggiato gli incendi e non già delle gabelle come nelle prime rivolte del Mezzogiorno; qua e là si sono invase le chiese… Se – puta caso – invece dell’on. Salandra, ci fosse stato l’on. Bissolati alla Presidenza del Consiglio, noi avremmo cercato che lo sciopero generale di protesta fosse stato ancora più violento e decisamente insurrezionale”.

 

 

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