La
scintilla
L'eccidio
di Ancona diede origine alla sommossa
operaia e popolare.
Si
era formato in quei mesi un blocco
sociale tra operai, contadini e ceto
medio di provenienza
anarchica, socialista, sindacalista e
repubblicana
(fino ad allora divisi e anche in lotta
tra loro).
L'elemento che aveva cementato tale
unione era l'odio contro il governo
borghese e le sue istituzioni. Bersaglio
di tale odio era, dopo la guerra di
Libia, il militarismo; arma di lotta la
propaganda per educare
all'anti-militarismo le masse. Nessuno
dei dirigenti si poneva problemi
organizzativi, come ad esempio
l'ammutinamento nell'esercito in
connessione con la lotta operaia e
contadina. La propaganda sparava alto:
si arrivava anche a consigliare ai
coscritti di rivolgere le armi contro
ufficiali e polizia, ma era un'azione
meramente agitatoria senza una seria e
concreta prospettiva organizzativa:
insomma giocavano a fare i rivoluzionari
sulla pelle delle masse, veri e propri
apprendisti stregoni!
La lotta era ora contro le Compagnie di
Disciplina dell'Esercito dove venivano
inviati i proletari militari noti nella
vita civile come rivoluzionari.
In
particolare due casi avevano colpito e
commosso l'opinione pubblica:
- quello del soldato bolognese Masetti
che all'inizio della guerra di Libia
aveva sparato contro il proprio
colonnello ed era stato rinchiuso come
pazzo nel manicomio criminale a Imola
- quello del soldato milanese Antonio
Moroni che per le sue idee
anti-militariste era stato inviato in
una Compagnia di Disciplina e qui aveva
subito sevizie.
I
partiti popolari reclamavano per
entrambi la immediata liberazione.
Una
lettera del 1913 di Felice Vezzani pro
Masetti
Questa
lettera è stata spedita
all'autore di questo sito tramite
allegato a una e-mail di un francese di
nome Alain.
La
lettera del 1913 è di un pittore
anarchico Felice Vezzani che era
espatriato a Parigi per motivi politici.
Fu inviata a Albert Laisant,
(1873-1928), che arrivava in quei giorni
a Parigi da Nizza. Laisant era un noto
anarchico francese a cui il Gruppo
Rivoluzionario Italiano di stanza a
Parigi chiede di scrivere un articolo
nella loro pubblicazione di un numero
speciale a favore di Masetti,
"inviando la vostra opinione
sull'atto compiuto dal nostro compagno e
la vostra adesione alla campagna
intrapresa per la sua
scarcerazione"
(cliccare
o toccare sulla foto per avere un ingrandimento e
poterla leggere)
Varie
manifestazioni si tennero il 7 giugno
per questi obiettivi.
Una di queste ad Ancona
(clicca
o tocca per maggiori dettagli)
finì con tre
morti ad opera dei carabinieri: un
anarchico (Attiglio Giambrignoni di 22
anni), e due repubblicani (Antonio
Casaccia di 24 anni e Nello Budini di 17
anni).
Da
qui uno sciopero generale e la fuga in
avanti delle masse che insorsero,
credendo finalmente di fare la
rivoluzione.
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Cause
economiche
Rallentamento
e ristagno dell'economia nelle attività
delle grandi industrie, depresso il grado
di occupazione in varie industrie, in
crisi anche il traffico marittimo.
Nelle
zone della bassa Romagna poi non vi era
mai stato il boom dello sviluppo
industriale dei primi anni del '900. Qui
le masse popolari si dibattevano sempre
nella povertà. L'età media di vita era
bassissima; molti erano i lavoratori
specie i braccianti, uomini e donne
abbruttiti dalle disumane condizioni di
lavoro, ed anche da condizioni igieniche
e sanitarie pesanti, che in
quell'ambiente naturale fatto di valli,
paludi, acquitrini favorivano la
terribile malaria.
Ancora in quell'epoca in Romagna,
l'acqua era sinonimo di alluvioni,
imputridimento e malattie.
La
Romagna, pochissimo industrializzata,
viveva di investimenti pubblici nei
lavori di assetto del territorio.
Il
Governo Giolitti aveva creato un patto
con i socialisti e le loro strutture
cooperativistiche a cui dava lavori
pubblici in appalto per conto dello
stato.
Ora che c'è la congiuntura
sfavorevole internazionale e la guerra
in Libia brucia risorse finanziarie, non
c'è più "trippa per i
gatti". In molte zone le condizioni
economiche delle masse popolari
divennero insostenibili.
Se
è pur vero che le agitazioni della
Settimana Rossa non possono aver avuto
un solo movente, è altrettanto chiaro
che la miseria giocò un ruolo non
secondario nello scatenarle.
Soprattutto
nella zona della Romagna che va da
Conselice a Giovecca, a Lavezzola,
Voltana, Alfonsine.
"Qui c'era
disoccupazione cronica, condizione
alimentare insoddisfacente sotto
l'aspetto qualitativo e in alcuni casi
anche sotto il profilo quantitativo -
così scrive Marco Barbanti
"Un borgo "ruralissimo"
tra due guerre mondiali. Conselice
1915-1945" nel libro "Conselice.
Una comunità bracciantile tra Ottocento
e Novecento, a cura di Pier Paolo D'Attorre,
Franco Cazzola Ravenna, Longo, 1991, p.
239.
Possiamo
estendere quest'analisi di Conselice
anche alle altre realtà citate di
Voltana e Alfonsine.
In
queste zone (è un dato di fatto) gli
scioperanti si abbandonarono anche
a ruberie di generi alimentari.
Ma
l'elemento economico non fu il
predominante di tutta l'insurrezione.
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Cause
Politiche
L'elemento
politico giocò un ruolo primario, in
situazione di effervescenza
rivoluzionaria che durava ormai da anni
e alla quale l'eccidio di Ancona dette
modo di deflagrare.
Era
caduto il governo Giolitti, e si
era formato un blocco
di destra, con l'avvicinamento della
Chiesa allo Stato, in funzione
antisocialista e antioperaia (patto
Gentiloni).
Il nuovo governo Salandra 21
marzo 1914 segnò la fine dell'età
giolittiana, che era stata
caratterizzata da momenti di
collaborazione oggettiva tra industriali
ed operai e quelli fra socialisti e
stato giolittiano.
Le
classi dominanti ora decisero di far
arretrare le masse popolari e operaie,
sopprimendo le conquiste democratiche
ottenute nell'ultimo periodo. Il
capitalismo finanziario e dell'industria
pesante, dopo il robusto processo di
accumulazione, alimentò e sostenne su
larga scala le spinte nazionalistiche,
militaristiche e imperialistiche.
Il
riformismo non aveva pagato. Entrò in
crisi il PSI e la sua linea riformistica
che aveva prevalso nel congresso del
1900, dove si era affermata l'idea della
realizzazione di un programma minimo di
riforme sociali, ed eventualmente
domani, in un secondo tempo, un
programma massimo. La vittoria
riformista aveva visto in Turati l'uomo
di spicco. Ora tutto va in crisi.
Nel
Congresso di Reggio Emilia prima e in
quello di Ancona il 27 aprile del 1914
si registrò l'affermazione della
corrente massimalista rivoluzionaria,
che però fu incapace sia di attutire il
peso riformista nel partito e incapace
di dare al partito un programma
corrispondente allo stato d'animo e alle
aspirazioni di riscossa operaia e
popolare maturate nel Paese.
Tra
il 1911 e il 1914 grandi lotte avevano
scosso le città e le campagne; la gioventù
rinnegava il vecchio sogno positivistico,
di una evoluzione graduale di conquiste
sociali: il PSI sterzava decisamente a
sinistra.
La
Settimana Rossa però scoppiò
spontaneamente, senza un piano
prestabilito, come poi le forze
reazionario vollero far credere.
Ma fu soprattutto in Romagna
e ancor di più nel Ravennate, dove più forte
era il radicamento delle organizzazioni
politiche e sindacali popolari e dove maggiore
era il grado di politicizzazione delle masse,
e maggiore, di conseguenza, l'attesa di
cambiamento politico e sociale, che lo
sciopero prese i contorni di una vera e propria
rivolta;
tanto
che il presidente del Consiglio Antonio
Salandra, intervenendo il 12 giugno alla
Camera, sostenne addirittura l'esistenza di un
" concerto criminoso" a monte delle
sollevazioni popolari romagnole (e
marchigiane), un autentico piano
rivoluzionario volto al sovvertimento delle
istituzioni monarchiche.
Se
in qualche modo le affermazioni di Salandra
risentivano dei pregiudizi sul presunto
congenito ribellismo dei romagnoli, è però
certo che la provincia di Ravenna poteva
dirsi, a ragione, una delle più
"rosse" d'Italia.
"Gli
atti furono tesi a colpire i luoghi del
potere politico borghese e clericale,
immagine tangibile dell'oppressione di
classe: le barricate, il taglio dei fili
telefonici e telegrafici, l'accanimento
contro la bandiera nazionale e i simboli
della monarchia, il blocco dei binari,
le traversine divelte, i ponti bruciati,
tutte azioni che non presupponevano un
complotto preordinato come avrebbero
voluto Salandra, né d'altra parte la
maturità rivoluzionaria che vi scorgeva
Malatesta. Eppure emergeva una volontà
insurrezionale per quanto indefinita e
contradditoria che andava al di là di
una semplice protesta economica. Quanto
al fatto che tale volontà potesse
sfociare in una rivoluzione compiuta,
indipendentemente dai veti della
Confederazione Generale Del Lavoro (CGDL),
non è in tutta franchezza
verosimile" (A. Luparini)
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Cause
sociali
Le
cause sociali si intrecciarono con
quelle economiche e con quelle
politiche.
Le elezioni politiche del 26 ottobre
1913, su cui molti del mondo subalterno
avevano puntato come ad una nuova
costituente, avevano schiacciato il
movimento proletario tra il connubio
liberal - cattolico al Centro-Nord e del
terrorismo governativo al Sud.
Con 1
milione di voti e 53 deputati il
PSI (e con lui i repubblicani che
erano altrettanti) l'estrema sinistra
resse all'attacco.
Ma la linea di
Mussolini (autore della svolta di
sinistra del PSI fin dal congresso di
Reggio Emilia) di portare in parlamento
deputati non riformisti e quindi più
compatti con la nuova linea del PSI non
passò.
Ancora una volta il gruppo
parlamentare era formato da
"notabili" del PSI con seguito
presso gli elettori, anche se non nel
partito.
Da qui nasce una profonda sfiducia delle
masse verso il mondo "legale".
Del resto il mondo "reale" era
scosso fin dai primi mesi del 1914 alle
fondamenta da agitazioni e sussulti che
sempre più si delineavano come vasti
movimenti di massa.
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