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Le cause 
della Settimana Rossa

 a cura di Luciano Lucci    lucci@racine.ra.it

La settimana rossa nei vari paesi di Romagna
Cosa fu la Settimana Rossa
Le cause
(siete qui)
Dove avvenne

 

Personaggi storici coinvolti:

Le foto
Documenti
Video-interviste
Giornali e periodici dell'epoca
Bibliografia
Narrativa sulla "Settimana Rossa"

 

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Un libro sulla Settimana Rossa alfonsinese
Quando Alfonsine 
divenne famosa
(scritto da Luciano Lucci)
(clicca o tocca qui, è tutto sul web in pdf)

 

 

Un libro su Alfonsine
"E' Café d'Cài" 

(clicca qui, è tutto sul web)

"Cosa sono mai le violenze che tanto vi spaventano e che tanto orrore vi destano, di fronte alla somma di violenze che voi, tutto il giorno, tutto l'anno, perpetrate sulla pelle della povera gente, che uccidete o fate uccidere, o che depredate colle vostre leggi?"  
("IL Lamone", settimanale repubblicano, Faenza, 21 giugno 1914)


Masetti, il simbolo della lotta antimilitarista

(Augusto Masetti nel 1964, in un'intervista di Sergio Zavoli)


L'eccidio di Ancona, 
la scintilla che incendiò il paese
(Mussolini viene fermato insieme a Corridoni durante una manifestazione)


Il ruolo di 
- Malatesta
- Nenni
- Mussolini
(sopra: Errico Malatesta, in una foto giovanile)

 

La scintilla

L'eccidio di Ancona diede origine alla sommossa operaia e popolare.

Si era formato in quei mesi un blocco sociale tra operai, contadini e ceto medio di provenienza
anarchica, socialista, sindacalista e repubblicana (fino ad allora divisi e anche in lotta tra loro).
L'elemento che aveva cementato tale unione era l'odio contro il governo borghese e le sue istituzioni. Bersaglio di tale odio era, dopo la guerra di Libia, il militarismo; arma di lotta la propaganda per educare all'anti-militarismo le masse. Nessuno dei dirigenti si poneva problemi organizzativi, come ad esempio l'ammutinamento nell'esercito in connessione con la lotta operaia e contadina. La propaganda sparava alto: si arrivava anche a consigliare ai coscritti di rivolgere le armi contro ufficiali e polizia, ma era un'azione meramente agitatoria senza una seria e concreta prospettiva organizzativa: insomma giocavano a fare i rivoluzionari sulla pelle delle masse, veri e propri apprendisti stregoni!
La lotta era ora contro le Compagnie di Disciplina dell'Esercito dove venivano inviati i proletari militari noti nella vita civile come rivoluzionari.

In particolare due casi avevano colpito e commosso l'opinione pubblica:
- quello del soldato bolognese Masetti che all'inizio della guerra di Libia aveva sparato contro il proprio colonnello ed era stato rinchiuso come pazzo nel manicomio criminale a Imola
- quello del soldato milanese Antonio Moroni che per le sue idee anti-militariste era stato inviato in una Compagnia di Disciplina e qui aveva subito sevizie.

I partiti popolari reclamavano per entrambi la immediata liberazione.

Una lettera del 1913 di Felice Vezzani pro Masetti

  Questa lettera è stata spedita  all'autore di questo sito tramite allegato a una e-mail di un francese di nome Alain.

La lettera del 1913 è di un pittore anarchico Felice Vezzani che era espatriato a Parigi per motivi politici. Fu inviata a Albert Laisant, (1873-1928), che arrivava in quei giorni a Parigi da Nizza. Laisant era un noto anarchico francese a cui il Gruppo Rivoluzionario Italiano di stanza a Parigi chiede di scrivere un articolo nella loro pubblicazione di un numero speciale a favore di Masetti, "inviando la vostra opinione sull'atto compiuto dal nostro compagno e la vostra adesione alla campagna intrapresa per la sua scarcerazione"

(cliccare o toccare sulla foto per avere un ingrandimento e poterla leggere)

lettera francese di Vezzani pro MASETTI.jpg (255691 byte)

 

Varie manifestazioni si tennero il 7 giugno per questi obiettivi.
Una di queste ad Ancona
(clicca o tocca per maggiori dettagli) finì con tre morti ad opera dei carabinieri: un anarchico (Attiglio Giambrignoni di 22 anni), e due repubblicani (Antonio Casaccia di 24 anni e Nello Budini di 17 anni).

Da qui uno sciopero generale e la fuga in avanti delle masse che insorsero, credendo finalmente di fare la rivoluzione.

Cause economiche 

Rallentamento e ristagno dell'economia nelle attività delle grandi industrie, depresso il grado di occupazione in varie industrie, in crisi anche il traffico marittimo. 

Nelle zone della bassa Romagna poi non vi era mai stato il boom dello sviluppo industriale dei primi anni del '900. Qui le masse popolari si dibattevano sempre nella povertà. L'età media di vita era bassissima; molti erano i lavoratori specie i braccianti, uomini e donne abbruttiti dalle disumane condizioni di lavoro, ed anche da condizioni igieniche e sanitarie pesanti, che in quell'ambiente naturale fatto di valli, paludi, acquitrini favorivano la terribile malaria.
Ancora in quell'epoca in Romagna, l'acqua era sinonimo di alluvioni, imputridimento e malattie.

La Romagna, pochissimo industrializzata, viveva di investimenti pubblici nei lavori di assetto del territorio. 

Il Governo Giolitti aveva creato un patto con i socialisti e le loro strutture cooperativistiche a cui dava lavori pubblici in appalto per conto dello stato. 

Ora che c'è la congiuntura sfavorevole internazionale e la guerra in Libia brucia risorse finanziarie, non c'è più "trippa per i gatti". In molte zone le condizioni economiche delle masse popolari divennero insostenibili. 

Se è pur vero che le agitazioni della Settimana Rossa non possono aver avuto un solo movente, è altrettanto chiaro che la miseria giocò un ruolo non secondario nello scatenarle. 

Soprattutto nella zona della Romagna che va da Conselice a Giovecca, a Lavezzola, Voltana, Alfonsine. 

"Qui c'era disoccupazione cronica, condizione alimentare insoddisfacente sotto l'aspetto qualitativo e in alcuni casi anche sotto il profilo quantitativo - così scrive Marco Barbanti  "Un borgo "ruralissimo" tra due guerre mondiali. Conselice 1915-1945" nel libro "Conselice. Una comunità bracciantile tra Ottocento e Novecento, a cura di Pier Paolo D'Attorre, Franco Cazzola Ravenna, Longo, 1991, p. 239.

Possiamo estendere quest'analisi di Conselice anche alle altre realtà citate di Voltana e Alfonsine.

In queste zone (è un dato di fatto) gli scioperanti si abbandonarono anche a ruberie di generi alimentari.

Ma l'elemento economico non fu il predominante di tutta l'insurrezione.

 

Cause Politiche

L'elemento politico giocò un ruolo primario, in situazione di effervescenza rivoluzionaria che durava ormai da anni e alla quale l'eccidio di Ancona dette modo di deflagrare. 

Era caduto il governo Giolitti, e si  era formato un blocco di destra, con l'avvicinamento della Chiesa allo Stato, in funzione antisocialista e antioperaia (patto Gentiloni). 

Il nuovo governo Salandra 21 marzo 1914 segnò la fine dell'età giolittiana, che era stata caratterizzata da momenti di collaborazione oggettiva tra industriali ed operai e quelli fra socialisti e stato giolittiano.

Le classi dominanti ora decisero di far arretrare le masse popolari e operaie, sopprimendo le conquiste democratiche ottenute nell'ultimo periodo. Il capitalismo finanziario e dell'industria pesante, dopo il robusto processo di accumulazione, alimentò e sostenne su larga scala le spinte nazionalistiche, militaristiche e imperialistiche.

Il riformismo non aveva pagato. Entrò in crisi il PSI e la sua linea riformistica che aveva prevalso nel congresso del 1900, dove si era affermata l'idea della realizzazione di un programma minimo di riforme sociali, ed eventualmente domani, in un secondo tempo, un programma massimo. La vittoria riformista aveva visto in Turati l'uomo di spicco. Ora tutto va in crisi.

Nel Congresso di Reggio Emilia prima e in quello di Ancona il 27 aprile del 1914 si registrò l'affermazione della corrente massimalista rivoluzionaria, che però fu incapace sia di attutire il peso riformista nel partito e incapace di dare al partito un programma corrispondente allo stato d'animo e alle aspirazioni di riscossa operaia e popolare maturate nel Paese.

Tra il 1911 e il 1914 grandi lotte avevano scosso le città e le campagne; la gioventù rinnegava il vecchio sogno positivistico, di una evoluzione graduale di conquiste sociali: il PSI sterzava decisamente a sinistra.

La Settimana Rossa però scoppiò spontaneamente, senza un piano prestabilito, come poi le forze reazionario vollero far credere.

Ma fu soprattutto in Romagna e ancor di più nel Ravennate, dove più forte era il radicamento delle organizzazioni politiche e sindacali popolari e dove maggiore era il grado di politicizzazione delle masse, e maggiore, di conseguenza, l'attesa di cambiamento politico e sociale, che lo sciopero prese i contorni di una vera e propria rivolta; 

tanto che il presidente del Consiglio Antonio Salandra, intervenendo il 12 giugno alla Camera, sostenne addirittura l'esistenza di un " concerto criminoso" a monte delle sollevazioni popolari romagnole (e marchigiane), un autentico piano rivoluzionario volto al sovvertimento delle istituzioni monarchiche.

Se in qualche modo le affermazioni di Salandra risentivano dei pregiudizi sul presunto congenito ribellismo dei romagnoli, è però certo che la provincia di Ravenna poteva dirsi, a ragione, una delle più "rosse" d'Italia.

"Gli atti furono tesi a colpire i luoghi del potere politico borghese e clericale, immagine tangibile dell'oppressione di classe: le barricate, il taglio dei fili telefonici e telegrafici, l'accanimento contro la bandiera nazionale e i simboli della monarchia, il blocco dei binari, le traversine divelte, i ponti bruciati, tutte azioni che non presupponevano un complotto preordinato come avrebbero voluto Salandra, né d'altra parte la maturità rivoluzionaria che vi scorgeva Malatesta. 

Eppure emergeva una volontà insurrezionale per quanto indefinita e contradditoria che andava al di là di una semplice protesta economica.

Quanto al fatto che tale volontà potesse sfociare in una rivoluzione compiuta, indipendentemente dai veti della Confederazione Generale Del Lavoro (CGDL), non è in tutta franchezza verosimile" (A. Luparini)

Cause sociali

Le cause sociali si intrecciarono con quelle economiche e con quelle politiche.

Le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, su cui molti del mondo subalterno avevano puntato come ad una nuova costituente, avevano schiacciato il movimento proletario tra il connubio liberal - cattolico al Centro-Nord e del terrorismo governativo al Sud. 

Con 1 milione di voti e 53 deputati il PSI  (e con lui i repubblicani che erano altrettanti) l'estrema sinistra resse all'attacco. 

Ma la linea di Mussolini (autore della svolta di sinistra del PSI fin dal congresso di Reggio Emilia) di portare in parlamento deputati non riformisti e quindi più compatti con la nuova linea del PSI non passò. 

Ancora una volta il gruppo parlamentare era formato da "notabili" del PSI con seguito presso gli elettori, anche se non nel partito.
Da qui nasce una profonda sfiducia delle masse verso il mondo "legale".
Del resto il mondo "reale" era scosso fin dai primi mesi del 1914 alle fondamenta da agitazioni e sussulti che sempre più si delineavano come vasti movimenti di massa.

 

 

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