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| Alfonsine | Eventi vari |
Questo sito è ideato e gestito interamente da Luciano Lucci
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La
Settimana Rossa a cura di Luciano Lucci lucci@racine.ra.it |
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Domenica 7 giugno 1914 |
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Quella mattina
pioveva ad Ancona
(clicca per
maggiori dettagli) Un comizio fissato nella mattinata, che doveva svolgersi in Piazza del Papa, ma che era stato proibito, dato che pioveva, venne spostato dai dirigenti dei partiti, al pomeriggio alle 16, a Villa Rossa, sede dei repubblicani di Ancona. |
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Gli aderenti ai
partiti di estrema sinistra, repubblicani, anarchici, socialisti, si
trovarono alla Villa Rossa, in circa cinquecento, per ascoltare diversi
oratori. Poco dopo le 18 il comizio ebbe termine ed i partecipanti uscirono da Villa Rossa. Sulla strada c'erano carabinieri ed agenti che dovevano impedire il formarsi di un corteo diretto al centro. Un gruppo di giovani tentò di passare. Nell'inevitabile
scontro le pallottole dei carabinieri colpirono a morte tre giovani
lavoratori:
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Lunedì 8 giugno 1914 |
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Dopo l'eccidio di Ancona, la Confederazione del Lavoro finalmente
proclamò lo sciopero
generale ad oltranza,
a partire dalla mattina, in tutta Italia.
Ad
Ancona 30.000
persone seguono i feretri dei tre uccisi. Si istituisce un Comitato
Rivoluzionario cittadino formato dai rappresentanti di tutti e tre i
partiti popolari, si bruciano i posti del dazio, si interrompono le
comunicazioni ferroviarie, telefoniche e telegrafiche, mentre si
sparge la voce che è scoppiata l'insurrezione in tutta Italia.
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Gli avvenimenti che seguirono furono di una gravità eccezionale e in particolare modo a Roma, (scontri e barricate), Firenze, Torino, Milano, Napoli, Parma, lo sciopero riuscì compatto e assunse aspetti di estrema violenza, con disordini, e scontri cruenti fra scioperanti e forza pubblica. A Milano e Bologna gli scontri violenti non furono solo tra i manifestanti e le forze dell'ordine, ma anche tra manifestanti e squadre nazionaliste Solo
nelle Marche e in
Romagna nella Bassa Ravennate assunse l'aspetto
dell'insurrezione "Furono sette giorni di febbre" scriverà più tardi Pietro Nenni, "durante i quali la rivoluzione sembrò prendere consistenza di realtà, più per la vigliaccheria dei poteri centrali e dei conservatori che per l'urto che saliva dal basso... Per la prima volta forse in Italia colla adesione dei ferrovieri allo sciopero, tutta la vita della nazione era paralizzata ". I fatti di Ancona ebbero una eco agitata alla Camera ove i repubblicani Eugenio Chiesa e Giuseppe Gaudenzi e i socialisti Emanuele Modigliani ed Enrico Dugoni insorsero per difendere la causa delle vittime.
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Martedì 9 giugno 1914 |
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A
Torino Nel pomeriggio i carabinieri e l'esercito tentano una sortita e assaltano 500 popolani davanti alla Camera del Lavoro. In molti vengono feriti. Si aprono scontri in tutta Torino tra operai e soldati. Due operai verranno uccisi e 10 feriti. La sera Torino è presidiata dall'esercito. A
Parma A Reggio Emilia Comizio di Zibordi A Modena Comizio di Agnini A Bologna Comizio di Argentina Altobelli A
Venezia A
Genova A
Savona A
Reggio Emilia A
Milano Dopo il comizio continuarono gli scontri : un operaio fu ucciso e molti feriti. Cariche della cavalleria, uno venne disarcionato da un sasso. Anche in piazza del Duomo vi sono durissimi scontri. Arrestati 200 operai. Tra l'esercito vi furono 4 soldati feriti. Venne arrestato Filippo Corridoni e il direttore dell' "Avanti!" Mussolini fu bastonato a sangue dalla polizia. A
Napoli A
Firenze A
Bari A
Roma A Imola
A Castelbolognese
A Faenza
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A Forlì
A Cesena,
A Giovecca Lo sciopero iniziò martedì alle 10 e nel pomeriggio divenne completo. A Voltana Lo sciopero iniziò martedì alle 10 e nel pomeriggio divenne completo. A Lavezzola "Lo sciopero iniziò martedì alle 10 e nel pomeriggio divenne completo (da "La Fiamma" 14-6-1914). Nelle sedi delle organizzazioni vennero esposte le bandiere abbrunate e nel pomeriggio il compagno Capri commemorò degnamente i caduti di Ancona" A Rimini Dal 9 giugno i tumulti esplodono anche a Rimini. Durano quattro giorni. In prima fila ci sono i contadini, i quali ammassano migliaia di capi di bestiame nel "prato della Sartona" (stadio attuale). La violenza dilaga in città. La gente urla: "Abbasso i preti, evviva la repubblica popolare". Davanti al Seminario, di fianco al Tempio Malatestiano, è fatta esplodere una bomba. C’è un tentativo di invadere la stazione ferroviaria, e di incendiare l’ingresso del municipio. I rinforzi militari al loro ingresso in città nel borgo di San Giuliano, tradizionale roccaforte anarchica, sono presi a fischi e sassate.
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Mercoledì 10 giugno 1914 |
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Giovedì 11 giugno 1914 |
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A
Firenze Lo sciopero continuò ugualmente. A Piacenza Continuò lo sciopero, con sabotaggio e minamento di ponti A Pisa Scontri sul Lungarno dove rimase ferito un lavoratore. A Gaeta 300 scioperanti invadono la stazione e bloccano i treni. A Foligno Vennero rotti gli scambi e rovesciati vagoni ferroviari A Napoli 100.000 popolani manifestarono seguendo il feretro di un lavoratore ucciso negli scontri di due giorni prima. Gli scontri ricominciarono e si frazionarono in varie parti della città. Si tentò di invadere la stazione. Il tutto continuò fino a sera: il bilancio fu di quattro lavoratori morti. A Milano Dopo un nuovo comizio all'Arena avvengono scontri con i cavalleggeri: un ufficiale di cavalleria uccide con la rivoltella un muratore. Di notte a Piazza venezia si rinnova la lotta tra operai e soldati e rimangono feriti un ufficiale di cavalleria e tre operai
A Forlì,
Cesena e Forlimpopoli A Forlì l'11 giugno, giovedì, il Prefetto era ancora chiuso in palazzo, ma le Poste, banche, stazione ferroviaria cominciavano a riprendere il loro aspetto normale, sotto l' ala protettiva della truppa. Nella stessa mattinata anche le comunicazioni telegrafiche cominciavano a riattivarsi; e cominciavano a passare treni militari. "Tutto il giorno" continua il Guarini "biciclette e automobili con bandiere rosse, giravano per portare notizie; facevano capo in Piazza e alla "Nuova Camera del Lavoro" (repubblicana) che sembrava governasse Forlì". Agli occhi delle autorità di governo quelle automobili coi rossi vessilli in cerca di notizie probabilmente fra i diversi centri di Romagna sembravano costituire la riprova più evidente che il moto era stato preordinato e diretto da una specie di Comando Supremo. A Glorie furono date alle fiamme la stazione ed un piccole tempio privato sulla Reale, la chiesetta della Savoia, saccheggiati magazzini e carri ferroviari. A Faenza Nella notte dell'11 giugno, reduci da un nuovo comizio, che aveva visto la presenza dell'anarchica Maria Rygier, storica madrina del movimento antimilitarista italiano, gli scioperanti provarono, anche in questo caso invano, a dar fuoco ad una porta laterale della cattedrale. Nelle ore successive - il centro cittadino, pressoché al buio per la manomissione delle cabine di alimentazione elettrica- anche le chiese di S. Ippolito, del Carmine e del Paradiso subirono dei tentativi di incendio. Dal "Piccolo" del 14 giugno 1914,giornale cattolico di Faenza: " Gli scioperanti avevano imposto la chiusura anche degli spacci di sali e tabacchi, caffé ed osterie... almeno dalla parte davanti." Tornata la calma, nei commenti della stampa conservatrice la grande paura cedeva, in parte, il passo all'ironia; un modo per esorcizzare lo scampato pericolo. Ancora sul "Piccolo": "Nelle ore pomeridiane giungeva a Faenza la nota anarchica Maria Rygier a diffondere sempre più, col profumo e il fascino femminile che emanava dalla sua persona, il verbo antimonarchico". Bisogna dire che nella fattispecie, l'organo dei cattolici faentini dette prova di insospettabile galanteria, tutto potendosi dire della famosa agitatrice fuorché fosse una donna particolarmente attraente. Maria Rygier, nata a Cracovia nel 1885 da padre polacco, era comunque una delle personalità più in vista dell'estrema, circondata in taluni ambienti di un'autentica venerazione. Era lei che dalle colonne di "Rompete le fila" (giornale fondato nel 1907 con l"arcangelo" sindacalista Filippo Corridoni) aveva dato impulso decisivo alla campagna antimilitarista, ed era stata lei la principale ispiratrice del comitato nazionale "pro Masetti". L'organo dei socialisti faentini "Il Socialista" (14 giugno 1914) minimizzo quegli episodi, ma è fuor di dubbio che in una zona a forte presenza cattolica come il Faentino, l'offesa recata alle chiese dovette destare non poca impressione. Lo stesso foglio socialista si compiaceva poi del fatto che i clericali faentini, i quali fino a quel momento si erano vantati di essere signori incontrastati della città e del contado, avevano dovuto prendere atto che "il loro dominio era odiato dal popolo lavoratore", perché la Romagna, checché se ne dicesse, "non era, né avrebbe potuto essere terra di preti". A Voltana
La
"Villa Parigina!" di Voltana, ovvero lo chalet dei Fratelli
Ortolani Questa era una villetta come appariva prima di essere incendiata dagli scioperanti Fu bruciata nella mattina la "Villa Parigina" chalet di proprietà degli Ortolani e l'Oratorio di san Marco detto anche la Pastorella, di proprietà del sig. Soldati, che distava 500 dalla villa Parigina, all'incrocio tra le vie Fiumazzo e Pastorelli. Presente era il brigadiere Dozza vice-comandante della stazione dei carabinieri di Voltana, con altri tre carabinieri disarmati: questi invitava in modo paziente Venturi e Foschini a far cessare le operazioni. Difficile quindi ipotizzare il reato di resistenza alla forza pubblica che si limitava a consigliare. La
"Parigina!" di Voltana dopo l'assalto dei dimostranti Sulla sinistra il secondo mulino di Voltana. A destra il "bosco" Giardini. La villa Parigina col tetto sfondato dall'incendio dei manifestanti della "settimana rossa"
La
"Parigina!" di Voltana dopo l'assalto dei dimostranti La concellata è divelta, sui due pilastri qualcuno scrisse "Abbasso i Re" "Viva la Rivoluzione" Fu incendiato il ponte ferroviario della Pianta, sul Santerno, rendendolo in parte inservibile. Gli scioperanti, per ostacolare il preventivato arrivo dei soldati, " vi appiccarono fuoco e rimasero in quei pressi finché i 9 archi del ponte stesso caddero nel fiume". A mezzogiorno tutti a casa per il pasto. Alle 14 in tre-quattrocento andarono alla stazione, dove trovarono un vagone carico di 200 quintali di grano, pronti per la spedizione a Ravenna (mittente un certo Leopoldo Capucci) destinatario Attilio Lionelli. Scaricarono i sacchi, li portarono al mulino, li fecero macinare e li divisero in parti uguali fra tutte le famiglie degli scioperanti. Al maresciallo Manservizi che osservava lo scarico del grano, un popolano disse: "Maresciallo, ci lasci fare e vada anche lei in caserma a giuocare alle bocce come fanno quelli di Alfonsine" I 5
Carabinieri di Voltana Al centro seduto il Maresciallo Manservizi; alla sua sinistra il brigadiere Dozza. La fotografia ormai rovinata è stata rinvenuta tra le carte di Leopoldo Gamberoni. Tornarono di nuovo all'oratorio della Pastorella, abbatterono il cornicione e la croce esterna e tentarono l'incendio, che non divampò. Poi di nuovo a distruggere la Villa Parigina" I manifestanti tentarono poi l'assalto e l'incendio della parrocchiale di Chiesanuova (parroco dan Andalò). Non riuscirono però a sfondare il portone perché sprangato dall'interno, inoltre interruppero l'assalto per non disturbare troppo e non intimorire una giovane nipote del parroco, che stava morendo. A Giovecca Gli scioperanti di Giovecca operarono insieme a quelli di Voltana A Passogatto A Tre Ca' (Passogatto) i dimostranti invasero la chiesa dedicata alla Madonna di Loreto del 1709 provocando danni. A Bruciata erano andati a prendere il grano, poi lo portarono indietro. A Lavezzola " Al giovedì essendo giunti altri treni la folla si recò nuovamente alla stazione ed esasperata per il brutale contegno del capostazione e del maresciallo ruppe i vetri della stazione" (da "La Fiamma" 14-6-1914)
Alla
sera la notizia che tutto era finito e che lo sciopero era cessato,
lasciò tutti increduli e con la sensazione di essere stati traditi dai
dirigenti.
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Venerdì 12 giugno 1914 |
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La Settimana Rossa era
praticamente finita.
Increduli, abbandonati a loro stessi, rassegnati, gli insorti del ravennate e della Romagna cessarono l'agitazione. La cavalleria Savoia e le altre forze militari, senza incontrare resistenza entrarono nelle città e nei paese della "bassa" Romagna, nelle zone dove il potere era di fatto in mano agli insorti. A Giovecca (notizie tratte dal libro "Giovecca" di Angelo Francesco Babini ed. comitato Antifascista Giovecca) Lo sciopero continuò assumendo una forma di aperta insurrezione. Era giunto da Ancona Mario dla Fulèta in moto e disse che là erano ancora in agitazione (Testimonianza di Fabbri Penelope). Così alle 6 del mattino 150 persone invasero Passogatto, residenza di Carlo Manzoni, sindaco di Lugo. Tra i carri vuoti condotti dai birocciai ce n'era uno carico di fucili che non furono adoperati e non si sa poi dove finirono (Testimonianza di Luigi Fabbri). Mentre il sindaco era ancora a letto fu avvertito dal proprio fattore che la folla voleva la chiave del magazzzino. Allora ordinò al fattore di consegnarla. Alzatosi il sindaco, Angelo fabbri ed Emilio Fabbri gli dissero:"Ci sono 150 persone che hanno fame". La frazione di Giovecca in quel tempo era realmente la più povera della bassa Romagna. Avuta la chiave i dimostranti penetrarono nei magazzini e insaccarono 30 quintali di grano che allora costava 25 lire al quintale. C'erano anche molti bambini. Da Celeste Mordini prelevarono 30 quintali di grano turco e dai Ricci si fecero consegnare 700 lire. Le granaglie furono caricate su quattro birocci e portate a Giovecca all'osteria di via Giovecca-Bastia, e qui furono distribuite alla popolazione. Dirigevano queste operazione Emilio e Angelo Fabbri. "Avevo fame, mi caricai un sacco di grano sulle spalle e lo portai al mulino, a piedi, al Ponte dello Scolo. Macinato quel grano me lo misi sulle spalle e partii per casa mia, abitavo allora da Galiné. Accortomi che per strada c'era la cavalleria passai lungo lo Scolo, portai a casa la farina poi scappai" (Testimonianza di Luigi Fabbri). Dalla via di Lavezzola giunse a Giovecca e a Casermaggio la cavalleria. Tutti quelli che i soldati riuscivano aprendere li portarono via. Presero Emilio Fabbri, la moglie di federico Zoli "Teresina ad Curtes" che alla manifestazione non aveva partecipato essendo zoppa; la presero perché le avevano trovato un po' di grano che il comitato le aveva dato per la sua povertà." (Testimonianza di Fabbri Penelope). Un
capitano della cavalleria a Casermaggio arresto Angelo Fabbri, lo mise
vicino a un muro e cominciò a gridare: "Abbiamo preso il capo"
intanto un soldato sparò dentro da una finestra e colpì la testiera di un
letto di uno che stava dormendo. Gli arrestati furono caricati in carrozze e
furono scortati dalla cavalleria" (Testimonianza di Giannetto Tozzi)." Arrestarono Riciotti Fabbri di 18 anni, suo padre, la sorella Anita, Cristina e Penelope Fabbri "Io fui arrestata dopo tre mesi che stavo bandita" (Testimonianza di Fabbri Penelope). Fu arrestato anche Clemente Fabbri di anni 14, Bosi Giuseppe di Frascata dirigente dei braccianti, Babini Pio. Molti si diedero alla macchia. Fu arrestato anche Tugnì ad Pavlet, birocciaio sulla via della Bruciata mentre camminava a fianco del suo somaro. Il somaro rimase abbandonato con la sua biroccia in mezzo alla strada e andò di qua e di là, si impiglio nelle redini e fu trovato impiccato. A Rimini L’ordine fu ristabilito senza colpo ferire il giorno 12.
Il rumore di un
bambino che cadde durante un comizio indetto per annunciare la cessazione dello
sciopero generale, fu scambiato per un colpo di fucile: la folla si disperse. Nel negozio dell’armaiolo Fava, erano state asportate armi. Altri pubblici esercizi furono presi d’assalto. C’era il terrore, e la gente non usciva di casa. La repressione Oramai la situazione era saldamente nelle mani del governo che si apprestava a colpire i responsabili delle rosse giornate. Le prefetture, i militari riprendevano i contatti interrotti ed iniziavano le prime rappresaglie. Pietro Nenni, il giovane ardente repubblicano (di allora!) e uno dei capi della rivolta anconetana, veniva arrestato e nel processo che seguì ebbe mirabile comportamento rivendicando davanti ai giudizi la nobiltà delle sue idee:"lo credetti con Giuseppe Mazzini che la vita è missione e che noi siamo qui a collaborare alla lotta dell'umanità verso una società di liberi e di uguali ". Oddo Marinelli ed Errico Malatesta riuscivano ad espatriare, il primo in Svizzera, l'altro in Inghilterra, sfuggendo quindi all'arresto. A Ravenna I primi processi per direttissima (con le prime condanne) si celebrarono innanzi al Tribunale di Ravenna, già il 15 giugno ("Il Giornale del Mattino" 16 giugno), ("Incomincia la reazione" Romagna Socialista del 21 giugno 1914). Tra le pene inflitte dai giudici di Ravenna, spiccava quella a 22 giorni di reclusione per il piccolo Giovanni Vinieri, di dieci anni, reo di lancio di pietre nel corso degli scontri di Piazza Vittorio Emanuele. A Forlì invece la reazione fu più blanda per quanto l'autorità giudiziaria colpisse i maggiori, che furono citati a comparire davanti al giudice istruttore, erano: Giuseppe Bellini, Cino Macrelli, Armando Casalini; l'altro imputato Aurelio Valmaggi aveva trovato rifugio a S.Marino (18). Su tutti i nominati pendeva l' imputazione "di aver eccitato la popolazione alla rivolta onde abbattere le istituzioni dello stato vigente". Inoltre venivano "citati per reato di incitamento alla disubbidienza dei militari, lancio di sassi contro lo stemma di prefettura, attentato alla libertà di lavoro, ecc. Balilla Santarelli, Lolli Aurelio (l9), Antenore Colonelli, Quinto Gaudenzi, Marcello Fussi, Decio Fuzzi ed altri...". Ai primi di agosto il Tribunale di Forlì assolverà diversi socialisti, difesi dall'avvocato Gino Giommi, che ottenevano la libertà provvisoria. Al Savio di Ravenna ci furono una ventina di arresti fra repubblicani, socialisti ed anarchici. A
Savignano
sul Rubicone A S. Vittore di Cesena ci furono sei arresti; uno a Bertinoro. A Giovecca Il rastrellamento avvenne già dal 12 giugno. La "Fiamma socialista" del 19 luglio 1914 pubblicava ".... agli arresti in massa compiuti a Giovecca, subito dopo lo sciopero generale altri se ne sono aggiunti, quelli di Alfonsine, di Savio, di Fusignano". Per i fatti di Giovecca fu celebrato il processo a Ravenna: gli imputati erano 13. Il processo durò tre giorni: 9 furono assolti, gli altri furono condannati. Il 24 maggio i partecipanti alla Settimana Rossa furono graziati e finirono al fronte. A Mezzano e Glorie di Bagnacavallo Il 21 dicembre 1914 presso il Regio Tribunale di Ravenna, si conclude con sentenza di condanna di A. F. (falegname ventunenne) e di B. B. U. di anni 30, bracciante, (latitante) rispettivamente a due anni e un mese, e a due anni e undici mesi, assolti tutti gli altri nove imputati, dei quali fu ordinata la scarcerazione: T. L. R. di anni 20, meccanico, M. A. di anni 21, calzolaio, A. A. di anni 20, meccanico, B. A. di anni 21, meccanico, M. N. U. di anni 21, bracciante, B. D. di anni 28, birocciaio, Giacoma Tavolazzi (Giacomina detta Mina) di anni 21, donna di casa. Su quest'ultima c'è un racconto particolare. ( Poco più di un mese dopo il 3 febbraio 1915 la Corte d'Appello di Bologna dichiarò estinta l'azione penale per sopravvenuta amnistia e assolse i due condannati di Mezzano. A Fusignano invece la forza pubblica operò un vero e proprio rastrellamento; l'11 luglio giunsero nella cittadina di Fusignano "alla spicciolata, racconta Pino Grossi, guardie, carabinieri, delegati di pubblica sicurezza,oltre una compagnia di cavalleggeri. In breve furono chiusi gli sbocchi delle strade ed incominciò la retata...", che non riuscì completamente per la delazione di un militare che permise a diversi indiziati di fuggire. Ad Alfonsine arrivarono il 21 giugno. Alcuni si rifugiarono in Svizzera, altri a S. Marino. Gli arrestati vennero tradotti alle carceri di Ravenna. Al processo ci furono assoluzioni e condanne a pene varianti da sei mesi a quattro anni. (Clicca qui per vedere gli atti di rinvio a giudizio)
Profughi politici a San Marino ritratti il 7 settembre 1914: da sinistra Brunetti (repubblicano di Fabriano, Camillo Garavini (sindaco di Alfonsine, socialista), Vincenzo Gironzi (repubblicano di Falconara), Umberto Bianchi (socialista di Ravenna) ed infine i fusignanesi Renato Emaldi (studente universitario, indipendente), e Giuseppe Grossi (impiegato comunale, repubblicano) Un
processo a una trentina di arrestati, un'amnistia per la nascita della
principessa reale, Maria Francesca di Savoia (paradossi della storia), e poi
la prima guerra mondiale. |
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