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Domenica
7 giugno 1914
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La
festa dello Statuto |
La data del 7
giugno era quella in cui i monarchici celebravano
la festa dello Statuto. |
Contromanifestazione
ad Ancona a Villa Rossa di repubblicani, anarchici e socialisti |
Manifestazioni antimilitariste si
tennero da vari mesi in varie parti d'Italia, contro le
Compagnie di Disciplina e per la liberazione delle vittime del
militarismo. Una grossa contro manifestazione fu attuata a Villa Rossa, sede
repubblicana di Ancona, dove parlò Pietro Nenni, allora dirigente
repubblicano, e Enrico Malatesta, vecchio storico esponente
dell'anarchismo italiano. |
Contro
la guerra di Libia e le Compagnie di Disciplina |
La
protesta era contro la guerra di Libia e per l'abolizione delle Compagnie
di Disciplina nell'esercito, motivo per cui il soldato Masetti aveva
sparato a un suo superiore. |
Ad
Ancona i carabinieri sparano sulla folla: 3 morti |
Il
comizio di Ancona
(clicca per
maggiori dettagli)
si tenne al chiuso, poi all'uscita della gente si formò una specie
di corteo. Molti volevano andare in piazza Roma dove si teneva un concerto
militare. L'intervento dei carabinieri provocò un eccidio: furono colpiti
manifestanti anarchici, socialisti e repubblicani. Due morirono subito, il
terzo il giorno successivo. |
A
Fusignano la notizia arriverà il giorno seguente |
La
notizia arriverà solo con i giornali del mattino seguente
La
serata a Fusignano fu calma. |
Lunedì
8 giugno 1914 |
La
notizia viene appresa dai giornali |
Conosciuta
la luttuosa notizia la Sezione Repubblicana espose la bandiera abbrunata,
venendo subito imitata dalla Sezione Socialista e da altre organizzazioni
economiche. |
Sciopero
generale per il giorno dopo |
A
Forlì, Ravenna, Cesena, Faenza, Fabriano, Falconara, Senigallia e in
altre città e paesi delle Marche e della Romagna, come pure Roma,
Firenze, Milano e Napoli operai e masse popolari entrarono in agitazione e
proclamarono lo sciopero generale per il giorno 9 a cui si accodò la
dirigenza nazionale della Confederazione del Lavoro e le Direzioni
Centrali dei Partiti Repubblicano e Socialista. |
Martedì
9 giugno 1914 |
Sciopero
e chiusura dei negozi |
A
Fusignano ci fu la sospensione
dal lavoro degli operai e la richiesta di chiusura dei negozi, che fu attuata senza reclamare. Furono
esposte bandiere a lutto. |
Mercoledì
10 giugno 1914 |
Manifesti
e volantini.
Si forma un Comitato per organizzare una grande manifestazione. |
La
mattinata passò tranquilla.
La Sezione Repubblicana pubblicò un manifesto che stigmatizzava l'eccidio di
Ancona ed invocava la "virile protesta del popolo contro gli autori e
la politica del Governo.
I socialisti distribuirono volantini inneggianti allo sciopero generale
rivoluzionario e fu nominato un Comitato incaricato di organizzare per
il giorno seguente una grande dimostrazione di protesta.
Fecero parte del
Comitato: Pino Grossi e Giovanni Capucci per il Partito Repubblicano,
Emilio Costa ed Emaldi Battista per il Partito Socialista, Olindo Servidei
per il Gruppo Anarchico, Leopoldo Tellarini e Emilio Vistoli per le
Organizzazioni Operaie.
(Pino Grossi "Gli avvenimenti fusignanesi nella settimana
rossa" Archivio Piancastelli)
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Arrivano
notizie degli scontri a Ravenna... |
Verso
sera arrivarono notizie degli scontri di
Ravenna. |
Raduno
di folla ad Fusignano |
Si
credette che sia l'inizio della Rivoluzione, quella propagandata da oltre 50
anni, specialmente da parte del partito repubblicano. |
Il
Comitato getta acqua sul fuoco, ma arrivano continuamente notizie... |
Gli
animi si accesero, ma dopo alcune ore si ridimensionarono le notizie più
esagerate.
Però quelle che arrivavano da Alfonsine non poterono essere ridimensionate.
In più girò voce che in Italia la rivoluzione era trionfante.
La folla si esaltò. |
Qualche
azione "sovversiva" ad imitazione di Alfonsine ma ben al di
sotto della soglia di criminoso e grottesco che si era verificato là |
Nella
notte, ad imitazione di Alfonsine, furono interrotte le comunicazioni
telegrafiche e telefoniche, si imbrattarono i muri delle chiese e delle case
con iscrizioni sovversive, ed alcuni sconosciuti, penetrati nella Chiesa
Arcipretale di San Giovanni Battista, mediante scasso di una porticina
laterale sinistra, iniziarono la distruzione di un baldacchino che doveva
servire per la processione del giorno seguente (Corpus Domini), quando
furono scoperti e messi in fuga dal sacrestano, che in quella notte fu obbligato dall'Arciprete a dormire in chiesa, prevedendo disordini ed
invasioni. |
Giovedì
11 giugno 1914 |
Il
Comitato tiene in pugno la situazione... |
Ore 7
Mentre ad Alfonsine riprendevano gli atti vandalici contro la chiesa, qui il
Comitato era in riunione permanente presso la Sezione Socialista, da dove
impartiva ordini affinché la manifestazione in programma procedesse
regolata e col consenso di tutti.
Si rilasciarono
lasciapassare a persone che avevano interessi indilazionabili di recarsi in
altri paesi, si diedero ordini per la concessione di generi alimentari ad
ammalati, si organizzarono squadre per assicurare la chiusura delle chiese e
dei pubblici negozi, escluse le farmacie che furono lasciate aperte.
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500
persone in comune per chiedere l'esposizione della bandiera abbrunata... |
Ore
9
Mentre gli impiegati erano già al lavoro in Municipio, una massa di 500
persone si recò presso la residenza Comunale per reclamare l'esposizione
della bandiera abbrunata e la chiusura degli uffici. Il Segretario
Comunale sig. Antonio Foiera si oppose energicamente. Ma visto
l'atteggiamento poco rassicurante della folla, aderì qualora i
dimostranti avessero il permesso del Sindaco.
Una Commissione, mentre la folla stazionava in Municipio, si diresse
all'abitazione del cav. Enrico Armandi che rilasciò l'ordine di esporre la
bandiera e di chiudere gli uffici. |
Si
richiede di chiudere il Circolo Cittadino |
ore
9,30
Dopo la precedente facile vittoria i dimostranti vollero recarsi dal sig.
Demetrio Gossi, presidente del Circolo Cittadino, per chiederne la
chiusura. Pino Grossi assicurò che ci sarebbe andato da solo, e dato che si trattava
di suo cugino, era certo che avrebbe ottrenuto il risultato. Così accadde
dopo
breve e cordiale colloquio al quale partecipano pure Emidio Costa
(anarchico) e Domenico Venturi (repubblicano). |
La
folla vaga per le vie di Fusignano in attesa di notizie che non tardano ad
arrivare...
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Ore
10
Il sole splendeva
alto nel cielo e la folla vagava per le vie di Fusignano, non sapendo cosa
fare e in attesa di notizie da fuori.
Presto arrivarono diversi sconosciuti che raccontarono sull'incendio del
palazzo comunale di Alfonsine, della stazione di Castelbolognese, di
Imola, della Chiesa di Mezzano e di altre gesta di rivolta che unite alle
voci di un movimento rivoluzionario generalizzato, eccitarono la folla fino
ad allora abbastanza tranquilla.
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Si
pianta l'albero della libertà...
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Ore
10,30
Alcuni più focosi lamentarono l'inettitudine delle masse fusignanesi e
specialmente del Comitato d'agitazione, dal quale pretendevano azioni più
drastiche e violente come ordini di saccheggio, di incendi... invece di
parole di calma, in attesa di avvenimenti decisivi e di ordini da
organismi politici centrali.
La massa rimase comunque disciplinata e non seguì i malcontenti.
Ma un
gruppo numerosi di giovani, all'insaputa del Comitato di agitazione si recò nel bosco del Marchese Calcagnini e lì abbatte un frassino lungo
almeno 15 metri. Trascinato fino in Piazza Corelli fu lì piantato
davanti alla Chiesa del Suffragio, nello stesso punto dove già nel 1848
era stato piantato l'Albero della libertà. In cima una bandiera rossa presa dalla
sede dei Socialisti.
Alla cerimonia assistette la folla dei dimostranti e molti altri curiosi.
Tutti salutarono l'albero della libertà al grido "Viva la
Rivoluzione". La banda cittadina, spontaneamente in piazza, iniziò a
suonare e tutti cantarono: dalle note della Marsigliese, all'Inno dei
Lavoratori e all'Inno di Garibaldi.
Fra i tanti
avvenimenti, questo è forse il più carico di valore simbolico di tutta la
Settimana Rossa in Romagna, segno di quanto fossero vive in quelle
popolazioni le memorie giacobine e quarantottesche, segno di quali e di
quanti significati esse attribuissero più o meno consapevolmente, alla
loro rivolta, ma anche segno gioioso, emblema di festa, di libertà come
di emancipazione, dalle ristrettezze del quotidiano, dai vincoli, dalle
regole imposte.
Sotto l'albero della libertà si sarebbero celebrati i
matrimoni dell'età futura, nella semplicità e nella spontaneità
dell'amore naturale: come aveva sperimentato alcuni vecchi nel 1848-49,
con la Repubblica Romana.
Ecco la frase che
bisognava recitare girando intorno all'albero, per diventare marito e
moglie:
“Sotto quest’Albero / Di verdi foglie,
O cari amici, / Questa è mia moglie.
Sotto a quest’Albero / Bello
e fiorito,
Questi, il vedete, / E’ mio marito
Crocchi di persone
in giro, non più preoccupate ma allegre: il paese aveva assunto un aspetto
festivo, si discuteva facendo pronostici sull'esito della rivoluzione in
Italia. Alcuni ritornarono con la memoria al 1848, quando cioè i loro
nonni, nella stessa piazza e quasi nello stesso punto alzarono l'albero
della libertà. Le donne partecipano alla rivoluzione e il vecchio
novantenne Valentino Bedeschi si recò a vedere il rinnovato segno
rivoluzionario e pianse. E pensare che era un uomo d'ordine e anche
religioso... |
Alle
ore 11 il maestro Antonio Preda, dilettante fotografo ritrae la scena....
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ore
11
Terminata la cerimonia dell'innalzamento dell'albero della libertà, il
maestro Antonio Preda, dilettante fotografo, ritrasse la scena per
riprodurla in cartoline illustrate. Tali fotografie furono pubblicate dai
giornali "La Domenica del Corriere" e "L'Illustrazione
Italiana" (2° numero di giugno), ma furono anche usate per le
indagini della Pubblica Sicurezza.
Ma non era questa l'intenzione di Preda e i rivoluzionari non gliene
fecero colpa.
L'episodio
dell'albero della libertà interessò tutta la stampa italiana che lo
illustrò in modo benevolo per il suo significato ideale, contrariamente
alle altre gesta di Alfonsine e dintorni.
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E'
ora di pranzo... pausa provvidenziale! |
ore
12
Un gruppo di rivoltosi vorrebbe anche incendiare municipio e chiesa, ma
essendo ora di andare a pranzo l'esortazione di alcuni membri del Comitato
viene ascoltata. |
Il
comportamento dei 4 carabinieri |
In
tutta la giornata i carabinieri non escono mai dalla caserma. Erano solo
in 4. Non si sa se per ordini ricevuti o per prudenza. |
Momento
clou...
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Pomeriggio
Da Alfonsine arriva in motocicletta il dott. (veterinario) Beno Gessi, un
repubblicano conosciuto da Pino Grossi. Il Gessi, col cognato Ferruccio
Mossotti e il fratello Mino Gessi, è tra gli attivisti della rivolta di
Alfonsine.
Il Comitato cerca
di tener calma la folla ma le notizie arrivano sempre più allarmanti...
conflitti a fuoco, distruzioni... la folla è sempre più eccitata. Il
Gessi trafelato, con gli occhi congestionati, in preda ad evidente
agitazione, riferisce che il sig. Marini di Alfonsine, arrivato da Roma la
sera prima, ha raccontato che il Re è fuggito e parte dell'esercito
si è ribellato. Inoltre tutte le grandi città italiane sono insorte e
che a Ravenna la Casa del Popolo, gremita da un migliaio di dimostranti,
era assediata dai soldati ed era doveroso e necessario armarsi per
marciare verso Ravenna e liberare gli amici assediati. Si tratta di
notizie non vere, alcune esagerate di episodi reali. Pino Grossi rassicura
la folla che il Gessi è una persona affidabile, amico della causa
repubblicana: chiede chiarimenti e precisazioni che gli vengono date dal
Gessi. La folla viene informata ma il Grossi a nome suo e del Comitato
declina ogni responsabilità sulla fondatezza di quelle notizie e invita
la folla a senso di responsabilità: che non si commettano atti criminosi
all'infuori del sequestro delle armi ai cittadini. |
Requisizione
delle armi
Le
barricate
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ore
16,30
Terminato il comizio alle 16,30, 500 persone tra grida di "Viva la
Rivoluzione" e "Abbasso la monarchia" si riversano per le
vie del paese per requisire le armi dei privati.
La stessa cosa si sta facendo ad Alfonsine, come conferma Beno Gessi.
L'obiettivo è organizzare una spedizione su Ravenna per la liberazione
dei prigionieri della Casa del Popolo. Questa è la voce che circola. In
realtà a Ravenna una rapida uscita la fa la cavalleria per disperdere i
dimostranti, i quali si rifugiano nella Casa del Popolo. Quando i soldati
sono passati allora tutti escono tranquillamente. Questo viene confermato
da Gessi, il quale afferma che anche da Mezzano sta partendo una
spedizione.
300 dimostranti
andarono nelle case e ville dei privati a sequestrare armi. Tra gli altri
rimasti in piazza Corelli si sparse la voce che da Lugo stava arrivando la
cavalleria (voce infondata). La folla si agitò e corse ai ripari.
"Facciamo le
barricate" propose uno della folla.
E così, memori di antiche battaglie risorgimentali, si crearono barricate
prendendo mobili, panche, confessionali dalle chiese S. Giovanni Battista
e del Suffragio, dal San Rocco e dell'Orfanotrofio. (testimonianza di
Maria Zannoni Amadei)
Alcuni giovani, tra i
più scalmanati, entrarono nella torre dell'orologio con l'intento di rubare
la cosidetta "Madonna Nera". Intervennero lo studente Renato
Emaldi e Pino Grossi che redarguirono i ragazzi e la madonna non viene
toccata. Alla fine le chiese non ebbero grandi danni a parte qualche
rottura a immagini sacre. |
Requisizione
dell' automobile di Piancastelli |
Mentre
si requisivano armi e si costruivano febbrilmente le barricate, qualcuno
lanciò l'idea di inviare una commissione a Ravenna per avere ordini e
sapere come procedere con la dimostrazione. L'idea giusta fu accolta, ma
non essendoci mezzi veloci per andare a Ravenna, si pensò di requisire
l'automobile del Sig. Carlo Piancastelli, ricco proprietario terriero di
Fusignano, che in quei giorni si trovava nella sua dimora a Roma.
Una
Commissione si recò nell'abitazione del fattore di Piancastelli, bussò,
ma nessuno rispose. Allora fu sfondato il portone. Solo allora apparve il Rag. Carlo Francesconi,
spaurito e tremante, il quale dopo un colloquio con due della commissione,
Antonio Baruzzi e Pietro Ruffini, dopo aver avuto assicurazione che non si
sarebbe recato alcun danno all'automobile, aderì alla richiesta dei
dimostranti. La Commissione fece rimettere a posto la porta
atterrata, mentre altri salirono sull'auto. Alla guida Carlo Cimatti,
autista del Sig. Piancastelli, con sopra Renato Emaldi, studente, Domenico
Venturi, muratore, e Pietro Ruffini, cantoniere idraulico.
A queste scene
parteciparono da spettatori anche monarchici e clericali che potevano girare
indisturbati tra la folla. Niente di traumatico successe comunque. Non fu accettato neppure il denaro o alimenti che i ricchi, intimoriti,
volevano dare ai dimostranti quando entrarono nelle case per sequestrare le
armi.
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Fine
dell'illusione |
Qualcuno
ancora accennò però ad assalire i magazzini dei ricchi. Ma i maggiorenti
repubblicani e socialisti convinsero la folla ad attendere almeno la
Commissione quando fosse tornata da Ravenna.
Un improvviso e provvidenziale scroscio d'acqua e di grandine raffreddò
gli animi e tutti corsero sotto i portici a continuare i commenti.
Intanto l'auto della Commissione arrivò a Ravenna; si venne a sapere che lo
sciopero stava per terminare su ordine della Confederazione del Lavoro, e
che la pretesa rivoluzione (secondo i giornali usciti con la notizia) era
stata limitata alle province rosse della Romagna e delle Marche, senza
essere meritevole di rilievo e attenzione neppure da parte del
Governo.
A Fusignano, due
ore dopo, terminato il temporale si riprese a preparare le barricate. Ma
arrivarono quelli della Commissione e il socialista Giovanni Martoni da
Massalombarda.
Si sparse la notizia, ma non ci si
voleva credere nessuno, tanto era
l'aspettativa di aver creato la Repubblica o almeno di aver fatto una
sommossa nazionale. Alcuni dissero che erano fandonie divulgate da agenti
governativi e che bisognava restare in armi. Pino Grossi invitò ad un
comizio nel cortile della Casa Socialista e qui sostenne che non si doveva
continuare la protesta, che andavano restituite le armi, dato che l'ordine
era venuto dalle massime organizzazioni politiche ed sindacali.
Era sera e si decise
tutti di obbedire a tali indicazioni: si dichiarò ufficialmente che la
dimostrazione rivoluzionaria era finita.
La notizia si sparse fulminea in paese: i negozi
riaprirono, i caffé e le osterie si affollarono di clienti per bere un po' di vino, che era stato vietato nei
giorni della rivolta, anche nei caffé dei circoli repubblicano e
socialista. I più timorosi finalmente uscirono e la vita riprese
normalmente.
Un residuo gruppo di giovani incolonnati in ordine militare attraversarono
il paese con i fucili in spalla, cantando la Marsigliese, creando una scena
di come doveva essere stata la Rivoluzione Francese.
A Lugo non è successe niente ma arrivarono voci delle imprese di Fusignano,
ingigantite dalla fantasia popolare. Alcuni cittadini lughesi si recarono a
Fusignano per vedere con i propri occhi. Trovano tutti a dormire... ore 23
Durante la notte
giunse la forza pubblica. pasquale Amadei, segretario della sezione
giovanile socialista, fu arrestato. |
Venerdì
12 giugno 1914 |
Abbattimento
dell'albero della libertà |
Si
ripulì la città. L'arciprete Mons. Albertini fece togliere le barricate,
pagando in proprio i facchini del paese. Il Sindaco Cav. Enrico Armandi
(partito conservatore) fece atterrare l'Albero della Libertà dai cantonieri
comunali Serafino e Anacleto Guerra, sorvegliati dalle guardie municipali,
dal maresciallo dei carabinieri con vari militi, e la gente attorno che
commentava con rammarico. L'albero a mezzogiorno fu portato via nel
cortile del palazzo comunale e fatto in tanti pezzi. Uno di questi pezzi
fu consegnato a Pino Grossi per ricordo, e un'altro, insieme alla bandiera
rossa, al Circolo Socialista. |
Domenica
21 giugno 1914 |
Le
elezioni amministrative di Fusignano |
Nonostante
a Fusignano le intemperanze fossero state controllate si scatenò,
da parte dei conservatori e reazionari, una campagna di denigrazione contro
le persone più in vista del Partito Repubblicano e Socialista. Ci furono molti arresti e un processo.
La domenica 21 giugno 1914 ci furono le elezioni amministrative comunali,
ad appena una settimana dalla fine delle agitazioni.
A
Fusignano aveva sempre governato una giunta clerico-moderata. Solo per un
breve periodo c'era stato anche un sindaco e una giunta repubblicana.
Socialisti e repubblicani pensarono che fosse giunto il momento di prendere in
mano il comune. Monarchici e clericali lanciarono il grido di guerra contro
socialisti e repubblicani: la sfida fu accettata.
I monarchici e clericali scelsero come candidati tutti i ricchi e i più in vista del
paese: l'ex-sindaco Enrico Armandi, il Cav. Dottor Carlo Piancastelli,
l'Avv. Demetrio Grossi, l'ex capitano dei bersaglieri Fedele Tazzari,
l'Avv. Francesco Tazzari, Sebastiano Preda.
Gli altri candidarono tutti
operai scelti nel campo socialista.
I repubblicani si
autoesclusero dalle
candidature.
La lotta elettorale fu accanita ma senza incidenti. Elevata fu l'affluenza
alle urne (80%). La vittoria della lista dei cosidetti
"sovversivi" fu totale, ottenendo 420 in più di quella degli
avversari.
Grande manifestazione di entusiasmo, con canti e feste, mentre i
monarchici e i clericali si rintanarono nelle loro case, mortificati per la
imprevista e schiacciante sconfitta.
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Lunedì
22 giugno 1914 |
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"Socialisti
e repubblicani festeggiarono la vittoria in piazza Corelli con danze e
musiche, e si incontrarono nella sede del Circolo Socialista facendo i
migliori propositi di mantenere saldi i vincoli di amicizia e fratellanza
trovati nella manifestazione rivoluzionaria e nella lotta elettorale".
(Pino Grossi) |
Sabato
11 luglio 1914 |
Arresti
Profughi
politici a San Marino ritratti il 7 settembre 1914: da sinistra Brunetti
(repubblicano di Fabriano), Camillo Garavini (sindaco di Alfonsine,
socialista), Vincenzo Gironzi (repubblicano di Falconara), Umberto Bianchi
(socialista di Ravenna) ed infine i fusignanesi Renato Emaldi (studente
universitario, indipendente), e Giuseppe Grossi (impiegato comunale,
repubblicano)
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Una
compagnia di 200 fanti, 50 soldati a cavallo, più 30 carabinieri, guardie e delegati di
P.S. giunse alla spicciolata a Fusignano, all'una di notte e bloccò le vie d'uscita.
Iniziò la retata. Furono invase e perquisite le case di coloro per cui c'era
un mandato di cattura. Molti però erano già fuggiti avvisati da un
militare che doveva prendere parte alle operazioni. La perquisizione nelle
case fu accanita e rabbiosa, senza riguardo per nessuno: donne incinta, o
vecchie nonne, o bambini malati; tutto fu messo sottosopra,
specialmente quando le ricerche si facevano infruttuose. Ci furono anche
rocamboleschi inseguimenti sui tetti. ("Arresti a Fusignano"
dal "Corriere di Romagna" del 14-15 luglio del 1914.
"Movimentati arresti a Fusignano" dal Resto del carlino del 15
luglio 1914).
Unanime
l'indignazione della stampa di sinistra. La Libertà del 18 luglio 1914,
"la Voce Mazziniana" del 26 luglio, e anche "Il Giornale
del Mattino" del 15 luglio.
Quella volta Pino
Grossi, Renato Emaldi, Emidio Costa, Leopoldo Tellarini, Battista
Emaldi e Emidio Tabanelli riescono a fuggire: i primi due a San Marino e
gli altri in Svizzera. (Vedasi foto a fianco)
Gli imputati furono 50, e gli arrestati 28:
furono tradotti nelle carceri di Ravenna.
Furono arrestati
Guerrini Luigi, Venturi Domenico, Tellarini Luigi, Sassatelli Vincenzo,
Emaldi Alcide, Montanari Emilio, Morando Domenico, Montanari Pasquale,
Abbondanti Giuseppe, Marcucci Augusto, Marcucci Silvio, Marcucci Emilio,
Emaldi Antonio, Feruzzi Filippo, Cantagalli Giovanni, Alberani Matteo,
Guerrini Guido, Malpeli Pietro, Ricci Giulio, Morandi Giulio,
Malpeli Alfredo, Babini Edoardo, Tabanelli Umberto, Pasquali Domenico,
Ruffini Pietro, Alberani Annibale, Luisa Manetti.
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16
novembre 1914 |
Il
processo
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Trascorsero
così quattro mesi, finché il Procuratore del Re Avv. Rossi Doria ordinò
il rinvio a processo di 32 sui 50 imputati, fissando l'udienza per il 16
novembre 1914 al Tribunale Civile e Penale di Ravenna. In quel giorno si
costituirono anche Pino Grossi e Renato Emaldi, reduci dall'esilio di San
Marino.
Il processo durò 10 giorni e alle ore 19,30 del 26 novembre si ebbe la
sentenza che assolse per insufficienza di prove: Renato Emaldi, Pietro
Ruffini e Domenico Venturi, accusati di violenza privata per la
requisizione dell'automobile del Sig. Piancastelli. Assolse pure Emidio
Tabanelli, Alfredo Malpeli, Natale Faccani, Sileno Ferri, Emilio Marcucci
e Pietro Malpeli, mentre Pino Grossi fu condannato a 6 mesi per un
reato che non aveva commesso: la costruzione di barricate. I condannati
furono 24, ed ebbero da
6 mesi a quattro anni.
La condanna e le pene furono ritenute eccessivamente severe in confronto
agli avvenimenti fusignanesi. Gli stessi denunciatori si rammaricano di
ciò, specialmente temendo rappresaglie e vendette.
Alcuni di questi protagonisti scapparono di nuovo a San Marino, ma poi
furono individuati dalla polizia ed arrestati nei mesi successivi: Camillo Garavini di
Alfonsine, Finessi di Falconara, Bianchi di Ravenna, Renato Emaldi e Pino
Grossi di Fusignano, Brunetti di Fabriano.
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