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Masetti:
chi era?
Contromanifestazione
ad Ancona a Villa Rossa di repubblicani, anarchici e socialisti.
Contro
la guerra di Libia e le Compagnie di Disciplina
Ad
Ancona i carabinieri sparano sulla folla: 3 morti
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Manifestazioni antimilitariste si tennero da vari mesi in varie parti d'Italia, contro le
Compagnie di Disciplina e per la liberazione delle vittime del militarismo:
Augusto Masetti e Antonio Moroni. Una grossa manifestazione fu attuata a Villa Rossa, sede
repubblicana di Ancona, dove parlò Pietro Nenni, allora dirigente
repubblicano, e Enrico Malatesta, vecchio storico esponente
dell'anarchismo italiano.
La
protesta fu contro la guerra di Libia e per l'abolizione delle Compagnie
di Disciplina nell'esercito, motivo per cui il soldato Masetti aveva
sparato a un suo superiore.
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Ad
Ancona
(clicca per
maggiori dettagli)
un comizio fissato
nella mattinata, che doveva svolgersi in Piazza del Papa, ma che era stato
proibito, dato che pioveva, venne spostato dai dirigenti dei partiti, al
pomeriggio alle 16, a Villa Rossa, sede dei repubblicani di Ancona.
Gli aderenti ai
partiti di estrema sinistra, repubblicani, anarchici, socialisti, si
trovarono alla Villa Rossa per ascoltare diversi oratori. Erano presenti in circa cinquecento,
in maggioranza anarchici e repubblicani.
Poco dopo le 18 il
comizio ebbe termine. All'uscita della gente si
formò una specie
di corteo. Molti volevano andare a manifestare in piazza Roma, dove si
teneva un concerto
militare. Sulla
strada c'erano carabinieri ed agenti che dovevano impedire il formarsi di
un eventuale corteo diretto al centro. Un gruppo di giovani tentò di passare.
Nell'inevitabile
scontro le pallottole dei carabinieri colpirono a morte tre giovani
lavoratori:
due
repubblicani Antonio Casaccia di 24 anni
e Nello Budini di 17 anni, che morirono
all'ospedale, e l'anarchico Attilio Giambrignani, di 22 anni, morto sul
colpo.
Episodi tragici di questo tipo erano
accaduti sovente in quegli anni. Quello
di Ancona fu la goccia che fece
traboccare il vaso.
La
notizia in Romagna arriverà solo con i giornali del mattino seguente
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Lunedì
8 giugno 1914 |
La
notizia viene appresa dai giornali |
Quando
le masse popolari lessero sui giornali cosa era successo ad
Ancona si diffuse commozione ed ira.
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Sciopero
generale per il giorno dopo |
A
Forlì, Ravenna, Cesena, Faenza, Fabriano, Falconara, Senigallia e in
altre città e paesi delle Marche e della Romagna, come pure Roma,
Firenze, Milano e Napoli operai e masse popolari entrarono in agitazione e
proclamarono lo sciopero generale per il giorno 9, a cui si accoderà la
dirigenza nazionale della Confederazione del Lavoro e le Direzioni
Centrali dei Partiti Repubblicano e Socialista.
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10.000
manifestanti a Ravenna |
A
Mezzano la
mattinata scorreva tranquilla, perché in molti
erano andati a Ravenna. In chiesa fervevano
i preparativi per la solenne processione del Corpus Domini che in
quell'anno cadeva l'11 di giugno.
A
Ravenna confluirono in bicicletta, sui carri dei birocciai e su altri
mezzi, più di 10.000 lavoratori, per lo più braccianti e mezzadri di
fuori Ravenna. Parlarono esponenti della Camera del Lavoro, socialisti,
repubblicani e anarchici.
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...
davanti alla Prefettura
Muore,
colpita alla testa da una bottigliata, un commissario di Pubblica
Sicurezza |
Al
termine del comizio, gli scioperanti si portarono in massa in piazza del
Popolo davanti alla Prefettura. Qui accaddero i primi scontri con le forse
dell'ordine.
Un
commissario di Pubblica Sicurezza e un colonnello dei Carabinieri furono
colpiti con bottiglie di vetro e bastoni. Giuseppe Miniagio, il
commissario, colpito alla testa da una bottiglia di seltz, morì dopo
qualche giorno. In tutta
Ravenna i soldati erano poco più di 300. In quell'occasione il tenente
alla guida dei carabinieri non diede ordine di aprire il fuoco.
Ci
fu qualche scorribanda per le vie del centro di Ravenna, con alzata di
barricate qua e là, devastazione di due chiese i mobili furono bruciati
nella piazza, furono tagliate le linee telegrafiche, e ci fu da parte
dell’esercito una scarica di 80 colpi di fucile contro la Casa del
Popolo repubblicana.
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A
Mezzano, durante la notte tra il 10 e l'11 giugno, fu
fatto un assalto alla chiesa (con un primo tentativo d'incendio)
e al circolo monarchico
"Cavour". |
Dopo
la manifestazione a Ravenna si sparse la voce che la monarchia era caduta:
iniziarono assalti e incendi alle chiese, ai circoli monarchici, alle
Preture. Assalto
alla chiesa di Mezzano Durante la notte tra il 10 e l'11 giugno fu
fatto un assalto alla chiesa (con un primo tentativo d'incendio)
e al circolo monarchico
"Cavour". Erano circa alle
23 quando - come ha scritto don Enzo Tramontani nel suo libro edito da Longo
editore Ravenna - il crepitare delle fiamme svegliò il parroco don
Giuseppe Strani che si precipitò, e con l'aiuto del cappellano don
Augusto Tasselli, del sacrestano e di due donne del vicinato accorse
spontaneamente, l'incendio fu soffocato. Risultarono devastati il
portone maggiore, l'organo e la cantoria sovrastanti. A scanso di altre
sgradite sorprese, il parroco trasferì l'eucaristia in sacrestia.
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Giovedì
11 giugno 1914 |
L'assalto
alla chiesa e al parroco di Mezzano
Molti
informazioni sono tratte dal libro: 'La "Settimana Rossa" Tra
mito barricadero e risposte di Dio' di Enzo Tramontani Longo editore RA |
L'indomani
11 una folla di circa ottocento persone (uomini, donne, fanciulli) si
recò alla stazione ferroviaria e alla vicina chiesetta di Villa Savoia a
Glorie, che furono danneggiate da un incendio.
Poi
passarono di casa in casa a requisire con le opportune minacce tutte le armi
disponibili. Da
Pietro Montalti ottennero ben due fucili e molte cartucce,
Innocenzo Bezzi dovette cedere un fucile, Antonio Bezzi consegnò un
fucile a due canne, la famosa doppietta o, come dicesi in Romagna, la
schioppa; infine a casa di Antonio Basigli rimediarono dalla moglie Maria
Berardi, tutta tremante, un altro fucile. Avevano già con sé una
rivoltella portata
via ad Anastasio Monti, detto Sebastiano: di comune accordo se ne era impossessata
Giacomina Tavolazzi.
Era
il giovedì
del Corpus Domini, e mentre i fedeli convenuti presso la chiesa di
Mezzano, per la messa e la tradizionale processione eucaristica sostavano
sul sagrato sgomenti alla vista della chiesa semidistrutta, verso le
11.30 arrivò la folla di ritorno dalla distruzione del magazzino
ferroviario,
completando l'opera iniziata nella notte. Dell'edificio sacro, alla fine,
non restarono in piedi che i muri anneriti dal fumo e sbrecciati. Alcuni
invasero il pianterreno della casa parrocchiale per un supplemento di
distruzioni, (particolarmente nella cantina ove vennero saccheggiate
botti di vino, e poi anche nell'ufficio della Cassa Rurale).
L'oltraggio
al parroco
Un
altro gruppo tra cui la già citata Giacomina Tavolazzi e il suo compagno M. U. circondarono
il parroco obbligandolo a spogliarsi dell'abito talare. M. U. intimò
il parroco di consegnare il suo fucile da caccia e la giovane donna, tra le più esagitate, gli puntò una rivoltella al
petto caso mai egli fosse del parere di non cedere l'arma.
Stando
alle carte documentali (cioè il Liber chronicon
della parrocchia redatto dallo stesso parroco, il settimanale diocesano di
Ravenna del 18 giugno 1914 «Il Romagnolo»
contenente la descrizione e denuncia dei fatti delittuosi a firma
dell'arcivescovo Pasquale Morganti, descrizione poi ripetuta nella «Rivista
Diocesana» del giugno stesso, infine i servizi giornalistici apparsi
su «Il Resto del Carlino» del sabato 13 e domenica 14 giugno 1914)
l'oltraggio si fermò qui.
A
questo punto il gruppo di punta si diresse verso la caserma dei
carabinieri. Il maresciallo Leandro Caprara e cinque subalterni -
impossibilitati per esiguità numerica a fronteggiare la situazione - se
ne stettero rintanati, le armi in pugno, pronti a tutto. I rivoltosi
si fermarono a relatíva distanza, mentre due di loro A. E e B. B. U. si fecero
avanti e, parlamentando col maresciallo attraverso la finestra, gl'intimarono
«per amore o per forza» di cedere loro le armi in dotazione: ma la
risposta stizzita è che, se non si allontanano in fretta, le armi saranno
usate contro di loro. Così quest'ultima impresa venne abbandonata. Erano
le tre del pomeriggio.
La
motivazione coralmente addotta per ottenere la consegna delle armi era
quella di «muovere contro Ravenna»: ma tali propositi bellicosi di una
ingenuità sconcertante s'incrociarono con voci allarmate, che dicevano
decretato in città lo stato d'assedio e i poteri passati all'autorità
militare. Forse è questa circostanza che spinse i rivoltosi a restituire
le armi ai legittimi proprietari nella serata stessa, non prima però di
essersi recati nella vicina chiesa di Villanova, a distruggerla.
Tra
la folla in rivolta nel
mezzanese - durante i gravi fatti dell' 11 giugno - una decina di
dimostranti (nove per l'esattezza) si rivelarono tra i più decisi a tutto.
L'intervento dell' autorità giudiziaria conseguente ai fatti di Mezzano e
Villanova ci consente di conoscere la loro identità.
Erano
tutti residenti a Mezzano e a Glorie dì Mezzano:
A.
F. di anni 21,
falegname, T. L.
R. di anni 20,
meccanico, M.
A. di anni 21,
calzolaio, A. A.
di anni 20, meccanico, B.
A. di anni 21,
meccanico, M. U.
di anni 21, bracciante, B.
B. U. di anni 30,
bracciante, B. D. di anni 28,
birocciaio, infine Giacoma
Tavolazzi (o
Giacomina, chiamata Mina) di anni 21, donna di casa. Quest'ultima - unica
donna tra uomini - viene indicata palesemente con nome e cognome perché
sarà la protagonista di un racconto particolare pubblicato da Don Enzo
Tramontani nel libro citato. |
Alcuni
chiarimenti su due episodi che riguardano atti sacrileghi. |
L'inviato
speciale del «Carlino» scrisse che «bruciarono anche le ostie
consacrate». L'espressione, confermata dalle parole dell'arcivescovo
(«Tutto fu distrutto dalle fiamme [... ] anche le sacre pissidi e le
Specie Eucaristiche»), trova riscontro nella fedele cronaca del
parroco: «distrussero e bruciarono tutto - egli scrive -, anche
il Santissimo Sacramento» ma s'affretta ad aggiungere: «Non lo
profanarono però come purtroppo è avvenuto altrove» facendo
riferimento alle oscenità sacrileghe di Villanova di Bagnacavallo e di
Alfonsine.
A
Mezzano dunque mancò la volontà o quanto meno viene a mancare l'occasione
di compiere gesti profanatori verso le ostie consacrate, che furono
consumate dalle fiamme.
Quanto
al parroco Strani, è tuttora viva la voce popolare di ulteriori
umiliazioni inflittegli, come quella di essere posto mezzo nudo sopra un
asino e trascinato per le strade del paese tra gli sberleffi della
gente.
Durante
la ricerca sui fatti accaduti, il già citato don Enzo Tramontani raccolse
da alcuni mezzanesi il racconto dell'asino col prete issato sopra e menato
in giro, da loro stessi ricevuto - asserivano - dalle labbra dei genitori
che se ne dicevano testimoni oculari.
In
realtà nulla consente di ritenere realmente accaduto tutto questo: le
cronache scritte ignorano una tale appendice carnevalesca.
Il
«Resto del Carlino» del 13 giugno, in una cronaca che fa riferimento
alle voci correnti, del parroco di Mezzano si limita a scrivere che «i
rivoltosi lo hanno perfino spogliato e ne hanno bruciato la veste talare
in piazza» ma lo stesso inviato speciale che l'indomani (come scriverà
i cronaca del 14 giugno) incontrò di persona don Giuseppe Strani definito
«un giovane prete aitante, bruno e robustissimo» - ne riferì il
colloquio concludendo così il racconto dettagliato da lui ricevuto: «Alcuni
rivoltosi gl'impongono di togliersi la veste talare. A questa intimazione
il reverendo risponde 'Se non volete altro, eccomi pronto e, toltasela, la
ripone sottobraccio. I dimostranti però, così mi assicura il reverendo,
non fecero alcuna violenza sulla sua persona né usarono verso di lui un
linguaggio ingiuroso. Addirittura gli parve di scorgere in parte di loro
un barlume di pietà quando li sentì incitare gli altri (che stavano
saccheggiando la casa) a partirsene, dopo che la zia del reverendo,
sopraffatta dall'emozione, era caduta svenuta».
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Domenica
21 dicembre 1914
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Il 21 dicembre 1914
presso il Regio Tribunale di Ravenna, si conclude con sentenza di condanna
di A. F. (falegname ventunenne) e di B. B. U. di anni 30, bracciante,
(latitante) rispettivamente a due anni e un mese, e a due anni e undici
mesi, assolti tutti gli altri nove imputati, dei quali fu ordinata la
scarcerazione: T. L. R. di anni 20, meccanico, M. A. di anni 21, calzolaio,
A. A. di anni 20, meccanico, B. A. di anni 21, meccanico, M. N. U. di anni
21, bracciante, B. D. di anni 28, birocciaio, Giacoma Tavolazzi (Giacomina
detta Mina) di anni 21, donna di casa.
La
storia di Giacomina Tavolazzi (clicca
qui)
Su quest'ultima c'è un racconto
particolare.
Ultimo
paradosso: tutti
amnistiati per la nascita di una principessa.
Poco più di un mese dopo il 3 febbraio 1915 la Corte
d'Appello di Bologna dichiarò estinta l'azione penale per sopravvenuta
amnistia e assolse i due condannati di Mezzano. Era
merito dell'amnistia generale per la nascita di
una principessa reale, Maria Francesca di Savoia, e furono liberi.
Poi scoppiò la 1°
Guerra Mondiale.
Conclusione
La "settimana
rossa" passò alla storia come qualche cosa da dimenticare. Essa
fu rimossa completamente dalla memoria storica della gente di allora, e
anche di oggi.
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