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Un
libro su Alfonsine Questo sito è ideato e gestito interamente da Luciano Lucci |
L'origine
del fascismo
e dell'antifascismo
ad Alfonsine IL
1923 Annus horribilis
Alle elezioni comunali di Alfonsine del dicembre 1922 I fascisti ebbero 2000 voti e 750 ai Repubblicani. Un risultato incredibile che ribaltava tutto. Una parte di socialisti e anche di repubblicani, e di elettori del PPI, dei monarchici e dei liberali aveva votato per il PNF. Va
ricordato che l'anno prima il sindaco Garavini non si sentiva più sicuro, dopo
un grave attacco al caffé della sorella e alla
tipografia della moglie, e al fatto che i fascisti locali
emisero un 'bando' affinché non potesse più stare ad Alfonsine. Intimorito
fuggì a Roma insieme al segretario locale del sindacato rosso Vincenzo
Tarroni, e con loro anche Bruno Pagani (fotografo e socialista riformista
del PSI giovanile): i socialisti, frantumati in vari gruppi (riformisti,
massimalisti e comunisti) rimasero così senza più dirigenti e impotenti.
Non presentarono alcuna lista alle elezioni. La nuova giunta vincente si presentò in C.C. il 4 gennaio 1923:
1923: Palazzo dei Sindacati Fascisti Ad Alfonsine Romildo Sasdelli, il capo del fascismo squadrista locale, nel 1923 si dimise da Segretario Politico del PNF e diventò Segretario Generale dei Sindacati, che ora erano detti 'fascisti', e che avevano 1200 iscritti, 35% socialisti, 25% comunisti, 15% repubblicani, 5% anarchici e gli altri iscritti a nessun partito (così da una relazione di Abele Faccani, nuovo segretario politico del PNF al federale di Ravenna). Le
divisioni interne ai fascisti locali: Dopo la improvvisata e raffazzonata infornata di iscritti alla nuova sezione del PNF di Alfonsine del 1922, che era arrivata a 360 iscritti - scrive il Prefetto di Ravenna - (pag.64 "Mino Gessi L'idea e la forza"), nacquero divisioni e litigi di carattere personale e politico fra vari aderenti. (Abele Faccani, Girolamo Samaritani, Violani Domenico, Stanghellini Romeo, Consalvo Gongolini). 13 gennaio
All'interno del fascio alfonsinese si era creata una notevole spaccatura che portò la Federazione Provinciale allo scioglimento della sezione e all'espulsione di molti iscritti. ("da 360 a 100", scrisse sempre il Prefetto). Nominò fiduciari per la rifondazione Ugo Oriani e Romildo Sasdelli. Si formò la corrente dei cosiddetti 'rifondatori' che erano gli stessi, con a capo il Sasdelli, che avevano favorito la spinta violenta e antidemocratica della sezione di Alfonsine. Marcello Mariani si propose con altri tra i quali Mino Gessi come punto di riferimento per rinnovare il Partito fascista alfonsinese, in contrapposizione al Sasdelli.
Ma
la sera del 13 gennaio 1923, vigilia del Congresso Provinciale Fascista, vi
fu un colpo di mano, un insulto al metodo democratico. I cosiddetti
'rifondatori' della sezione di Alfonsine misero, con metodi poco
democratici, in netta minoranza proprio i veri rinnovatori ed elessero un
direttorio del tutto in antitesi con il Mariani. Il 14 gennaio divenne operativa per Regio Decreto l'istituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale - MVSN: primo passo verso la fascistizzazione dello Stato: i miliziani giuravano al Duce e non al Re. 15 gennaio: lettera di Mino Gessi al Dottor Giuseppe Frignani della Federazione Fascista di Ravenna Mino Gessi quella sera assistette impotente ed incredulo al “blitz”, e il giorno successivo scrisse una lettera di denuncia Dottor Giuseppe Frignani della Federazione Fascista di Ravenna definendo, letteralmente, il comportamento del Segretario Sasdelli e soci come un atto di “brigantaggio”. Alfonsine
15 .1.1923. Per il gruppo F°:
Mino Gessi, Ancarani Leonardo, Antonio (il cognome non è decifrabile con
certezza). Il Segretario Sasdelli, su probabile suggerimento dell'Oriani, fece fare all'Amministrazione Comunale, con una delibera della Giunta, un apprezzamento sull'operato della Associazione Combattenti. Fu stampato poi un manifesto che fu affisso in paese che recitava così: "... la predetta Sezione merita tutto l'appoggio e tutta la simpatia del Comune sia per il nobilissimo scopo per il quale Essa Sezione è sorta sia per l'azione che essa svolge in favore di coloro che tanto diedero al dovere ed alla Patria..." Ma, colpo di scena: Abele Faccani ed altri fascisti suoi amici furono “scandalizzati ed indignati” sul contenuto in esso espresso. La nuova Sezione Fascista, appena ricostituita sulle macerie della precedente, era già in fibrillazione. Sasdelli fece scrivere e firmare a nome suo una lettera in cui si informa Frignani di quanto stava succedendo all’interno della nuova Sezione. 1°
febbraio 1923 Primi licenziamenti La nuova amministrazione licenziò subito alcuni impiegati che erano stati assunti dal sindaco precedente socialista. Il Segretario Comunale Giuseppe Pozzi, l'addetto al macello comunale Pietro Tamburini, un impiegato presso l'Ufficio Anagrafe Lorenzo Ricci Anche Armando Salvatori, un muratore abitante in via Tranvia n°7, ('non iscritto al PNF, che si associa con elementi sovversivi' - scriveva il maresciallo dei Carabinieri), che era adibito all'accensione dei fanali notturni, avendo subito un'accusa di furto e una prima condanna (fu riabilitato in Corte d'Appello), venne licenziato e sostituito da Giuseppe Faccani, fratello di Abele Faccani, ex-comunista, disertore, passato al fascio. Stipendio 3980 £ annue. Il
4 febbraio Il
15 febbraio Medici condotti furono
nominati: Al sindacato fascista che aveva associato come facchini ex-combattenti fascisti furono assegnati lavori alla Stazione Ferroviaria locale dove il lavoro non mancava mai, mentre gli altri facchini ritenuti ostili furono assegnati al servizio fuori stazione, dove il lavoro era solo saltuario. Così crescevano tensioni e proteste. Marzo 1923 Per tutto marzo fino alla fine della primavera la questione dei licenziamenti (sia dei dipendenti comunali che dei facchini non aderenti al sindacato fascista) tenne banco ad Alfonsine. I fratelli Giacomo e Beno Gessi, insieme al cognato Ferruccio Mossotti cominciarono a muoversi... Ferruccio Mossotti insieme ai suoi cognati, i fratelli Giacomo e Beno Gessi, iniziarono uno scontro duro con i capi del partito fascista di Alfonsine. Furono in prima linea a guidare la protesta di operai e impiegati rimasti senza lavoro. Mossotti scrisse diversi articoli sulla Voce Repubblicana di cosa stava avvenendo ad Alfonsine, e iniziò a inviare lettere ai capi del governo. Le
amicizie così altolocate di Mossotti erano dovute alle
relazioni stabilite fin dai tempi delle battaglie per l'interventismo, e
poi per la sua attività sindacale e per essere un esponente di punta
dell'associazione ex-combattenti. 8 aprile 1923 Venne eletto Segretario Politico del PNF di Alfonsine Abele Faccani (su 118 iscritti i votanti furono 117: 112 favorevoli 5 contrari). Sasdelli, dimissionario, fu eletto Segretario Generale dei Sindacati. Il Direttorio fu composto di tre persone: Sasdelli Romildo, Faccani Abele e Samaritani Girolamo. 14 aprile 1923 Il Mossotti fu aggredito e bastonato a Ravenna da un gruppo di fascisti di Alfonsine. I
voltagabbana, che Ferruccio Mossotti e suo cognato Mino Gessi continuavano a
denunciare a ridicolizzare, li avevano presi nel mirino. Il Mossotti ex-decorato e delegato della sezione locale ex-combattcnti viene bastonato da un gruppo di fascisti di Alfonsine... in seguito a pressione di qualche esponente del Fascio. Lui ex-repubblicano, non iscritto,.. non manca di biasimare pubblicamente il fatto che nel fascio di Alfonsine siano iscritti, e magari ricoprano cariche importanti, persone che sia per precedenti politici, sia per precedenti morali dovrebbero non appartenervi". I fascisti locali dopo essersi impossessati dell'Amministrazione Comunale, dei Sindacati (che ora erano detti 'fascisti', e che avevano 1200 iscritti, però 35% socialisti, 25% comunisti, 15% repubblicani, 5% anarchici e gli altri iscritti a nessun partito - così da una relazione di Abele Faccani al federale di Ravenna), ora cercarono di espugnare l'ultimo baluardo dì opposizione al loro potere: l'Associazione ex-Combattenti i cui iscritti erano in maggioranza repubblicani: nel cui consiglio direttivo erano Guido Errani (presidente) Beno Gessi (fratello di Mino) e Ferruccio Mossotti. 21 Aprile 1923: i fascisti si sputtanavano anche da soli Ognuno a quel tempo cercava la miglior collocazione all'interno dei nuovi padroni, per questo si assistette a violente discussioni, minacce, ritorsioni tra i fascisti. Una
relazione dei Carabinieri illustra alcune situazioni e personaggi del,
fascismo alfonsinese: Il
Gorgolini protestò presso il segretario della Federazione di Ravenna
Frignani.
Alcuni fascisti furono espulsi, tra i quali lo Stanghellini Romeo. Le
voci di quanto stava accadendo ad Alfonsine arrivarono in alto, 23 aprile Mossotti continuava a inviare lettere al governo in particolare al sottosegretario del Consiglio Acerbo e Acerbo informò sempre Mussolini. Mossotti dimostrava di conoscere lo stesso Mussolini, scrivendo in fonso alla lettera "Fiducioso interessamento Mussolini che conosco" Mussolini stesso poi non mancava mai di attivarsi ogni volta che Mossotti interveniva presso di lui sulla situazione alfonsinese. Mussolini
chiede spiegazioni Prefetto di Ravenna, che probabilmente informa il
segretario federale peI PNF di Ravenna Frignani. Questi scrive ad Acerbo
lettere in cui minimizza e invita a non dare corda al Mossotti. 17 maggio qualche epurazione per salvare la faccia Il
segretario federale di Ravenna Frignani, in seguito a questa pressione
dall'alto invita il fascio di Alfonsine a qualche epurazione per simulare
una verginità rifatta. Viene incaricata dal Direttorio alfonsinese,
composto da Faccani, Sasdelli, e Girolamo Samaritani, una commissione di fascisti locali
per tale incarico: Vengono quindi dimissionati ed espulsi i consiglieri Comunali Secchiari Giuseppe e Marini Antonio perché recentemente sottoposti a processo per reati comuni come ricettazione, e Vecchi Luigi (assessore supplente) per frode in asta pubblica. 27 maggio nuovi licenziamenti con delibera della Giunta Comunale "Soppresso
il posto di aiuto ragioniere, licenziato Somarelli Pasquale. Nuovo
titolo di Ingegnere Economo (non Perito): licenziato Antonio Preda, perché
solo Perito economo, "per dichiarata imperizia tecnica dimostrata". Licenziamento
salariati: Giugno Da una relazione del segretario del fascio alfonsinese Abele Faccani si apprende che i fascisti iscritti erano 183, i repubblicani 200 in due sezioni (Oberdan e Fratti), "che nella sezione ex-combattenti prevalgono i repubblicani e che l'unica attività svolta palesemente è quella del partito repubblicano che è antifascista e cui si accodano i partiti estremi che tacciono ma non sono scomparsi" Giugno Sasdelli litiga con Mingazzi (entrambi fascisti) perché "Mingazzi, ricco proprietario, tentava di sottrarsi a impegni presi" - da una relazione del vice commissario locale Magistrelli. Mingazzi prese le botte da Sasdelli rimanendo ferito al braccio destro. Il Sasdelli, che era invalido a una gamba, aveva un bastone con dentro uno spadino. Il Mingazzi fu poi costretto a dichiarare che aveva inciampato da solo. 24 giugno: furono picchiate nove persone, di cui 4 ex-combattenti. A una celebrazione della battaglia del Piave svolta da ex- combattenti repubblicani furono bastonate nove persone.Viotti, Billini e Antonelli furono picchiati in via Fiumazzo da Vassura Sante (che fu denunciato) perché "cantavano inni sovversivi e invitati a smettere" non aderirono" - (da una relazione di un ispettore del Questore) 29 giugno: Mossotti decise di andare di persona a Roma per parlare con Acerbo e incontrare Mussolini Il
Commissario di Pubblica Sicurezza di Alfonsine avvisò il Questore di
Ravenna che Il Mossotti era a Roma "per organizzare elementi
repubblicani contro il Governo". Mossotti era invece a Roma per consegnare il suo memoriale delle malefatte fasciste ad Alfonsine direttamente a Mussolini, e avvisato da suo cognato Beno Gessi che le cose alfonsinesi stavano peggiorando, disse di stare calmi che "memoriale consegnato mani Mussolini che ha subito telegrafato Prefetto". A Ravenna Questore e Prefetto si attivano con il Commissario di Alfonsine invitando a rendere più pacifica la situazione. Ma proprio in quei giorni i facchini ex-combattenti di Alfonsine, sostituiti da facchini del nuovo sindacato fascista (ex-disertori li definisce Beno Gessi), ed esasperati dalla miseria per calo drastico di ore lavorative, organizzarono una manifestazione di protesta presso la stazione ferroviaria. Il segretario del fascio Abele Faccani intervenne immediatamente per calmare gli animi, ma minacciò anche l'uso delle armi da parte dei fascisti. Poi un gruppo di lavoratori fu accolto dal Commissario di Pubblica Sicurezza che cercò una mediazione per calmare gli animi. Intanto relazionò al Prefetto della situazione alfonsinese sminuendo le accuse del Mossotti. Il Prefetto comunicò il tutto a Mussolini. Ormai tutti avevano capito l'aria che tirava e che non conveniva mettersi contro i fascisti locali. Quindi il Prefetto, utilizzando le comunicazione del Commissario di P.S. locale Magistrelli cercò di demolire più che potè la figura di Mossotti e i repubblicani ex-combattenti, rivalutando gli altri, anche se confermava parte delle accuse del Mossotti sugli 'indegni' da espellere, ma invitando a non farlo per non darla vinta a Mossotti. Mossotti in quei giorni tornò ad Alfonsine. 18 luglio lo scontro si sposta all'interno dell'Associazione ex-combattenti, ultimo baluardo In
questo quadro l'Associazione ex-combattenti diventò il luogo nevralgico
dove si trovava la più forte opposizione al fascio di Alfonsine. Così tentarono di avere la maggioranza nel
Consiglio Direttivo, ma non ci riuscirono. Di conseguenza imposero ai
fascisti presenti una
scissione, uscirono dall'associazione e ne fondarono una nuova. Pubblicarono inoltre una lettera del fascista Cap. Cav. Rigotti che si dichiarava rammaricato di dover sottostare all'odiosa imposizione del partito, che lo obbligava a uscire dall'Associazione Il ragioner Rigotti, per non votare la scissione contro gli altri suoi amici ex-combattenti, si era dimesso dal comitato direttivo fu espulso dal PNF 'per indisciplina'. Iniziarono le violenza contro gli ex-combattenti e sul loro presidente Guido Errani, che da lì a poco fu costretto a dimettersi e fu letteralmente 'defenestrato' con l'intervento di un membro del Comitato Centrale dell'Associazione appositamente chiamato. 20 luglio: Giuseppe De Maria direttore della Farmacia dell'Ospedale, brutalmente percosso per questioni di cocaina Giuseppe De Maria, direttore della Farmacia dell'Ospedale, negò (come faceva obbligo la legge) un grammo di cocaina a un fascista che gliel'aveva chiesta. Fu bastonato alla presenza di sei militi della milizia nazionale riportando ferite e contusioni che il chirurgo accorso giudicò guaribili in 15 giorni. Dopo alcuni mesi fu licenziato dal Presidente della Congregazione di Carità (una specie di Asl odierna) Violani Domenico. (pag. 79 "Mino Gessi L'idea e la forza") La sera del 20 luglio 1923: primo scontro a fuoco! Abele
Faccani, che come si è visto era riuscito a farsi eleggere segretario del fascio
alfonsinese, e Romildo Sasdelli incontrarono e fermarono per strada
Ferruccio Mossotti e i suoi cognati Mino e Beno Gessi:
iniziò uno scontro verbale che presto si trasformò in colluttazione. Del ferimento fu incolpato Mino Gessi, che dopo due giorni si presentò in caserma dove mostrò che anche lui era stato ferito alla gamba destra, e che il suo era un revolver mentre l'arma che aveva ferito il Faccani era compatibile con la pistola di ordinanza che aveva il Sasdelli. Anche la perizia medica escluse che la ferita fosse stata provocata da Mino Gessi, e quindi la ferita non poteva che essere stata provocata per errore dall'arma del Sasdelli. Comunque i due fratelli Gessi e il Mossotti furono arrestati e finirono in galera. 22 luglio: le rappresaglie dei fascisti Il Prefetto di Ravenna dovette, con un certo imbarazzo, informare direttamente Mussolini, che gli aveva ordinato pochi giorni prima di sanare la situazione alfonsinese "d'intesa o anche senza l'intesa del fascismo locale". Ci furono violenze continue contro gli ex-combattenti dell'Associazione, che obbligarono alcuni non desiderati ad allontanarsi dal paese. Fu schiaffeggiato e bastonato il dott. Cassiano Meruzzi Furono bastonati Caranti Natale, Guerra Domenico, Felletti Luigi, Errani Leonardo, Tazzari Pietro, Errani uido, Biffi Francesco, Margotti Giuseppe, Tambini Primo, Massaroli Camillo e il maestro Ballardini Vincenzo. Il Massaroli aveva 60 anni e il Ballardini li aveva superati. La bastonatura del Ballardini, amato e stimato maestro di generazioni di alfonsinesi, che lo costrinse a letto per diverse settimane, fu deplorata da tutti, ma nessuno ebbe il coraggio di denunciare gli autori. Dopo la caduta del fascismo nel 1943 Scuscén, Giuseppe Argelli, uno di quei giovani squadristi, confessò in una confidenza ad Arturo dla Canapira, in riferimento al Ballardini:che era stato lui con un altro, lo incontrarono sull'argine del fiume e Scuscén gli diede 'due ceffoni'. (pag. 281 libro 'L'idea e la Forza') "Qualche rappresaglia è stata eseguita...", si legge sul settimanale "La Santa Milizia" Qui sotto l'articolo del settimanale fascista della provincia di Ravenna "La Santa Milizia": da notare la frase: "è ora che anche a Roma si persuadano", una non tanto velata critica a Mussolini stesso. 16 agosto 1923 Leonardo Errani, fratello di Guido, e consigliere comunale, fu picchiato da tre fascisti sconosciuti, che lo fecero cadere dalla bicicletta e sul ciglio di un fosso lo colpirono lasciandolo esanime. l'episodio avvenne mentre tornava a casa dallo Zuccherificio di Mezzano. Colpito gravemente alla testa e sulle spalle, con bastone e un cavo d'acciaio, ebbe ferite gravi di cui portò le conseguenze fino alla sua morte che avvenne dieci anni dopo. Fu giudicato guaribile in 25 giorni. Era in compagnia del geometra Francesco Biffi, ex-combattente, che fu picchiato pure lui con contusioni gravi alle mani e alle spalle giudicate guaribili in 15 giorni. 17 agosto 1923 Errani Guido fu aggredito e bastonato con contusioni alla schiena guaribili in 10 giorni, proprio il giorno in cui alla Sezione ex-combattenti di Alfonsine era stato inviato un Commissario Straordinario dal Comitato Centrale dell'Associazione: l'avv. Bruno Biagi che dimise tutta la Direzione quindi sia Guido Errani che il Mossotti e nominò tre membri alla Direzione: Argelli Vincenzo, Natali Giacomo, Cortesi Carlo, tutti fascisti.
24 agosto: ad Argenta Don Minzoni viene assassinato da due squadristi fascisti 6 settembre: Mussolini, irritato scrive al Prefetto di Ravenna Tramite articoli su "La Voce Repubblicana" Mussolini era venuto a sapere dell'accaduto "La prego di darmi sollecite informazioni sui fatti rilevati. Ed avvisi nello stesso tempo i dirigenti fascisti che in questo momento la disciplina deve essere rigidamente osservata e la calma non deve essere turbata in nessun modo (il presidente del Consiglio dei Ministri)" Ma ad Alfonsine i fascisti non obbedirono. 8 settembre I fratelli Gessi e il loro cognato Mossotti furono messi in libertà provvisoria con l'obbligo di prendere domicilio ovunque tranne ad Alfonsine. Mino e Beno Gessi chiesero ospitalità al loro zio Celso a Viterbo, mentre Mossotti si trattenne a Roma. Ma siccome si sapeva che presto o tardi tale divieto sarebbe caduto, ad Alfonsine iniziò la mobilitazione dei fascisti locali. 9 settembre: alla sera irruzione dei fascisti nel teatro 'E baracò' dei Gessi, e spari di rivoltella: panico tra il pubblico, e feriti per la fuga. Fin dai primi di settembre si era sparsa la voce che i fratelli Gessi e il Mossotti erano sul punto di essere messi in libertà per non aver commesso il fatto, e che sarebbero tornati ad Alfonsine. Ecco che di nuovo si scatenò la rabbia dei fascisti locali. Alle ore 21 due militi fascisti della Milizia volontaria Amadei Ferdinando e Baccarini Antonio (denunciati poi alle forze dell'ordine) prima dell'inizio della proiezione di un film nel teatro-cinema detto 'e baracò', o teatro Calderoni, di proprietà di Eugenio Gessi, padre di Beno e di Mino, salirono sul palco e invitarono il pubblico ad abbandonare il locale. Altrettanto fecero altri fascisti dalla platea. Spentesi le luci per l'inizio della proiezione, cominciarono a sparare colpi di rivoltella in aria. Panico tra il pubblico che cercò vie di fuga. Nella calca ci furono feriti vari tra cui 2 donne e un bambino di 8 anni, che ebbero ferite inciampando nella rete metallica spinosa, posta all'esterno a recinzione del teatro. I feriti furono 6 e 4 si presentarono in ospedale a farsi medicare: essi furono Ernesto Caravita di anni 8, Esterina Graziani di anni 16, Maria Sbriglia di anni 33, Pellegrino Zuffi di anni 30. 10 settembre, una donna denuncia pubblicamente in piazza i nomi dei due che la sera prima avevano sparato, viene schiaffeggiata Fu Taddei Geltrude, nata Antonellini ad avere il coraggio di gridare in piazza i nomi dei due fascisti che la sera prima avevano sparato nel teatro Calderoni. Intervenne subito il Sasdelli, membro del Direttorio del Fascio, 'ras' di Alfonsine, che affrontò la donna invitandola a tacere e schiaffeggiandola violentemente. 10
settembre MUSSOLINI LEGGEVA SEMPRE TUTTO QUELLO CHE ACCADEVA AD ALFONSINE SU 'LA VOCE REPUBBLICANA'. DA SETTEMBRE A TUTTO DICEMBRE NON PASSò GIORNO IN CUI MOSSOTTI SCRISSE ARTICOLI SUL QUOTIDIANO REPUBBLICANO DENUNCIANDO E SPUTTANANDO I FASCISTI, GLI SQUADRISTI E LE LORO AZIONI VIOLENTE, IL SINDACO, IL PREFETTO DI RAVENNA E IL QUESTORE, E SOPRATTUTTO IL VICE-COMMISSARIO DI ALFONSINE MAGISTRELLI 21 settembre Mussolini, sempre più infastidito... Su carta intestata e firmata di suo pugno Mussolini chiese al Prefetto di Ravenna di 'dargli sollecite informazioni sui fatti' di Alfonsine Furono quelli gli anni dei 'ras' di provincia - scrisse poi nei suoi 'Ricordi Autobiografici' Dino Grandi che in quell'anno era Sottosegretario al Ministero dell'Interno - "che non intendevano rassegnarsi a consegnare nelle mani degli organi dello stato i poteri già esercitati durante il periodo rivoluzionario. L'azione ribellistica dei 'ras' crea non pochi fastidi al governo Mussolini... il quale è palesemente infastidito e, a poco a poco, procede alla liquidazione dei 'ras', richiamando quelli che erano stati prima della Marcia su Roma gli esponenti più autorevoli di un fascismo moderato e legalitario" Il Vice-Commissario di Pubblica Sicurezza di Alfonsine Magistrelli nelle sue relazioni e interventi dimostrò una netta convivenza e accondiscendenza con i fascisti locali, accettata e anche fatta propria dal Prefetto di Ravenna nelle sue relazioni agli organi nazionali che gliele chiedevano. 2 ottobre Mossotti da Roma continuò a scrivere e a informare sulla stampa repubblicana di ciò che stava avvenendo ad Alfonsine, accusando il Vice-Commissario Magistrelli di omertà e convivenza con i fascisti più violenti, facendo pubblicare anche un telegramma da lui Mossotti aveva inviato a Mussolini. 4 ottobre Il Questore di Ravenna aprì un'inchiesta interna sul Commissario di Pubblica Sicurezza di Alfonsine Magistrelli e inviò un suo ispettore, tal Luceri, a indagare e a fare una relazione. 8 ottobre Questore minimizzò il tutto e sostenne e condivise l'operato di Magistrelli Nella relazione di Luceri al Questore minimizzò il tutto e sostenne e condivise l'operato di Magistrelli e la sua giusta condanna politica del Mossotti. Anche se fu costretto a raccontare di una richiesta al sindaco fascista Alberto Alberani da parte del Commissario Magistrelli "per ottenere qualche posto come supplente per una propria sorella diplomata maestra e di poter ottenere il collocamento, presso lo zuccherificio di Mezzano di un'altra sua sorella laureata in chimica..." 9
ottobre La relazione arrivò al Prefetto di Ravenna
10 ottobre Il Prefetto mise a punto la risposta da inviare al Ministero degli Interni, utilizzando la relazione inviatagli dal Questore, che metteva in cattiva luce Mossotti. Ma appena due giorni dopo, arrivò una lettera di Emilio De Bono in persona e le cose si complicano per il Prefetto e i Ravennati.
12 ottobre intervenne il Ministero degli InterniIl Ministero degli Interni, tramite Emilio De Bono in persona, allora Direttore Generale della P.S., chiese al Prefetto di Ravenna di relazionare sugli avvenimenti di Alfonsine e sulle accuse del Mossotti al Vice-Commissario di PS Magistrelli, e sulla base del promemoria medesimo di Mossotti che documentava e deninciava gravi soprusi e violenze ad opera di fascisti in Romagna in generale e ad Alfonsine in particolare. De Bono scrisse di suo pugno: "Caro Prefetto le accludo il qui unito promemoria consegnatomi da persona di fiducia ineccepibile e di condizione sociale distintissima. La prego di indagare e di sapermi dire" E proprio quando stava per redigere un documento di risposta arriva anche una lettera di Mussolini 13 ottobre: Un articolo su Santa Milizia e Mussolini scrisse al Prefetto
14
ottobre: una scheda informativa su Garavini, l'ex-sindaco socialista Alla
Direzione Affari Generali e Riservati del Ministero dell'Interno a Roma
arrivò una relazione/profilo (una schedatura forse) sull'ex sindaco di
Alfonsine Garavini, scritta in modo onesto e veritiero, (forse dai
Carabinieri di Alfonsine). Lì veniva descritto il clima che ci fu attorno a
questa figura e anche nel paese, il tutto in netta contraddizione con quanto
il Prefetto andava a comunicare al De Bono. La relazione continua affermando che il Garavini contava parecchie amicizie e godeva di stima tra la parte 'sana' del fascismo, confermando così che c'era una parte 'insana'... 15
ottobre: Mussolini
chiese al
Prefetto per un articolo
apparso su 'Santa Milizia' su cui c'era una velata critica al presunto
scarso interessamento del Fascismo Nazionale e del Governo rispetto ai
problemi della Provincia di Ravenna a differenza di quella di Forlì.
Mussolini si era sentito toccato sul vivo e reagì.
16
ottobreL'Ufficio
Stampa della Federazione del PNF di Ravenn 18
ottobre 19 ottobre: una lettera del Prefetto a Del Bono e una a MussoliniIl Prefetto è costretto, pur tentando di minimizzare sempre il tutto, a rispondere a tutte le accuse del Mossotti e della Voce Repubblicana, elencando i singoli casi uno per uno, mostrando così qual era stato il livello degli aderenti al fascio, dato che l'elenco dei casi presi in esame costituiva uno spaccato piuttosto imbarazzante della prima Alfonsine fascista. Ma
deve anche rispondere a Mussolini
30 ottobre:
La moglie di Peo Bertoni chiese di
affiggere un manifesto, in ricordo del marito ucciso un anno prima. Il Vice
Commissario Magistrelli gliolo censura. Il
quotidiano repubblicano pubblicò un articolo sull'episodio della moglie di
Peo
Bertoni. Bertoni
era un repubblicano e fu una delle prime vittime dell'antifascismo
alfonsinese. Egli fu ucciso vicino alla rampa che portava all'argine del
fiume mentre si recava sul luogo in cui, ad opera dei fascisti, era stato
appiccato il fuoco alla sezione del partito repubblicano. Nel primo anniversario della morte, la moglie del povero Peo voleva ricordare il marito tramite un manifesto/locandina da affiggere in paese, come si è soliti fare ancora oggi in simili occasioni. Allora, però, ci voleva il permesso dell'autorità di P. S. La
moglie si recò quindi, dal Vice Commissario Magistrelli, il quale negò
l'autorizzazione. «La
Voce Repubblicana» diede notizia del fatto il giorno 3 novembre tramite un
articolo intitolato "Le prodezze di un delegato di P. S. Vieta a
una donna di ricordare il proprio marito assassinato". Ecco il
testo dell'articolo: "Alfonsine.
In occasione della ricorrenza del l° anniversario dell'assassinio
dell'indimenticabile repubblicano Peo Bertoni, la di lui moglie chiese alla
locale autorità di P. S. il permesso di pubblicare il seguente manifesto:
"Nella ricorrenza del 1° anniversario dell'efferato omicidio di
Bertoni Peo, esempio di laboriosità, di amore per la famiglia e di onestà,
la moglie ed i figli pubblicamente tributano al loro impareggiabile marito e
padre lacrime di amorevole cordoglio, facendo voti che mai più si ripetano
atti di barbarie come quello che, a tradimento, troncò la balda esistenza
del loro caro congiunto, il quale informò ogni suo atto al raggiungimento
di un ideale di giustizia, di pace e di amore".
Ma lo zelante delegato di P. S., che è quello biografato recentemente dal
tenente Ferruccio Mossotti, dopo averle chiesto, a più riprese, il nome del
compilatore del manifesto, alla cui domanda la moglie dichiarò di averlo
scritto lei medesima, disse che tutto ciò significava una speculazione
politica e che non ne avrebbe permesso la pubblicazione. 4 novembre: La risposta di Magistrelli al Prefetto “In merito all'articolo pubblicato sulla «Voce Repubblicana» del 3 corrente, pregiomi comunicare: Il 26 ottobre scorso, si presentava in questo Ufficio, la moglie del defunto repubblicano Bertoni Peo — ucciso il 30 ottobre 1922 da fascisti di qui — la quale mi esibiva il manifesto citato nella detta corrispondenza scritta, perché ne pigliassi visione ed esprimessi parere se ne fosse possibile la stampa e l'affissione il 28 di detto mese, giorno della commemorazione della Marcia su Roma. Domandai alla donna, perché mentre suo marito era morto il 30 ottobre, essa ne voleva ricordare due giorni prima l'anniversario, e ne ebbi, per risposta, che essa intendeva farlo affiggere il 28, per protesta contro gli assassini, né aggiunse altro. Allora avvisai la donna che il manifesto poteva essere affisso solo il 30 corrente, previo mio visto sullo stampato e stralcio delle parole "barbarie" e "tradimento", e la congedai. Ciò premesso, avverto che non credetti autorizzare l'affissione del manifesto in parola sia perché affiggerlo il 28 era evidente fosse fatto a bella posta per recare offesa al fascismo, sia perché le parole "barbarie e tradimento", intercalate così come sono nel detto scritto, erano soggette ad interpretazione da parte dei fascisti, non buone, e sì da poter provocare sicure rappresaglie contro tale donna — o i maggiorenti del Partito repubblicano locale che — come è noto in paese — gliele avevano compilate e suggirete". Questo episodio se da una parte dimostra il coraggio della signora Bertoni. dall'altra attesta l'arroganza e l'aperta connivenza della autorità di P. S. di Alfonsine col fascismo. Secondo la polizia, i fascisti alfonsinesi non devono essere disturbati nella loro "commemorazione della Marcia su Roma": non si deve permettere ad una donna coraggiosa di ricordare a tutti che, proprio in concomitanza ed in conseguenza di quella marcia, le era stato ucciso il marito appena un anno prima. Un'arroganza incredibile quella del Vice Commissario Magistrelli che dichiara, fra l'altro senza mezzi termini, che furono i "fascisti" ad uccidere il povero Bertoni. E lo dichiara in un documento ufficiale per il Prefetto. Non meraviglia affatto che proprio simili personaggi abbiano fatto carriera all'interno degli apparati di polizia predisposti dai fascisti per contrastare e reprimere gli oppositori del Regime. Ugo Magistrelli deve aver "ben meritato" agli occhi dei superiori per il servizio prestato ad Alfonsine; infatti nel volgere di pochi anni, egli raggiunse i vertici della Divisione Affari Generali e Riservati del Ministero degli Interni a Roma. Egli fu considerato dai vari Capi della Polizia e degli apparati repressivi di Mussolini (Bocchini, Leto) uno dei Commissari Capi più fedeli tanto da affidare proprio a lui la responsabilità di missioni particolarmente delicate da svolgersi pure fuori dai confini italiani. Mimmo
Franzinelli nel suo testo "I tentacoli dell'OVRA" ha scritto:
"Tra gli ufficiali di PS attivi in Europa spicca il commissario capo
Ugo Magistrelli". Addirittura a metà degli anni '30, quando il
governo dittatoriale portoghese chiese alla più esperta polizia italiana
come organizzare un apparato efficiente di polizia politica, Magistrelli fu
scelto ed inviato a Lisbona "per insegnare le tecniche della
schedatura e della repressione delle opposizioni". Ancora
nell'estate del 1943, Guido Leto chiamò espressamente Ugo Magistrelli alla
Divisione di Polizia Politica perché collaborasse con lui alla riapertura
dell'inchiesta sui vari attentati che dal 1928 si erano via via succeduti in
Italia ed in Francia e che si supponeva fossero stati organizzati da
fuoriusciti antifascisti. 8 novembre: il Sindaco Alberani scrisse al prefetto sul divieto di rientro per Mossotti
"Ill. mo Signor prefetto di;Ravenna, 9 novembre: Prefetto scrive al Ministero dell'interno La lettera del Sindaco di Alfonsine Alberani giunse al Prefetto, il quale prese subito carta e penna ed inviò una "Riservata Urgente" al Ministro dell'Interno a Roma ed allegò copia della lettera ricevuta dal Sindaco di Alfonsine che minaccia di "ribellarsi con ogni mezzo" se si permetterà a Mossotti di tornare in paese. Naturalmente il Prefetto
appoggiò il Sindaco Alberani, invitando il Ministero a tenere Mossotti alla larga dal paese romagnolo pena il probabile verificarsi di
"gravi torbidi e... rappresaglie" anche fuori da Alfonsine proprio perché
"Mossotti è odiato addirittura dai Fascisti tutti di questa
Provincia". "Il Tenente Ferruccio Mossotti... essendo stato prosciolto dall'imputazione di complicità nel ferimento del Segretario Politico della Sezione del Partito Nazionale Fascista di Alfonsine, Sig. Abele Faccani... ha manifestato l'intendimento di ritornare fra giorni in quel paese. Egli ha, anzi, addirittura annunziato... il suo arrivo, in compagnia di un Generale della M. V. S. N. La notizia, rapidamente divulgatasi, ha vivamente eccitato i Fascisti Alfonsinesi che già manifestano preoccupanti propositi di non più contenere l'odio che da lungo tempo li divide inconciliabilmente da Mossotti, che, non a torto, è ritenuto il più accanito antifascista di questa provincia. Di questo sentimento egli ha dato indubbia prova... contro tutti coloro che... lo hanno ostacolato nelle sue macchinazioni tendenti a scompaginare l'Amministrazione Comunale ed a debellare, o per lo meno indebolire grandemente, il Fascismo Alfonsinese... Il ritorno del tenente Mossotti in Alfonsine non potrà non essere causa di gravi torbidi e incentivo di rappresaglie, anche fuori di quel Comune essendo egli odiato addirittura dai Fascisti tutti di questa Provincia... Dopo quanto ebbi a riferire a codesta Direzione Generale ed allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, dietro richiesta, ho motivo di dubitare che risponda al vero la notizia propalata dal Mossotti, quella cioè che ad Alfonsine giungerebbe accompagnato da un Generale della M. V. S. N. . In ogni modo reputo doveroso far rilevare come sia desiderabile sotto ogni rapporto che ciò non avvenga. Per quanto si riferisce poi al ritorno del Mossotti in Alfonsine, quest'Ufficio darà le opportune disposizioni perché il Mossotti stesso sia vigilato e, occorrendo, da agenti specializzati. Ma prevedo che contro l'ex Tenente esploderà l'unanime odio di cui è circondato in tutta la Provincia e specialmente in Alfonsine". Il Prefetto sa che un tipo come Mossotti non rinuncerà al suo ritorno in paese ed allora, sapendo quante altolocate "amicizie" egli abbia a Roma, con un atto di ipocrisia, conclude la sua lettera sollecitando il Ministero a convincere Mossotti a non venire in Romagna, e ciò "più che altro nell'interesse dello stesso Mossotti". "Per tutte queste ragioni reputo opportuno o, meglio, necessario,
nell'interesse più che altro dello stesso Mossotti, che egli sia indotto a rinunziare,
almeno per ora, al progettato suo ritorno in quel Comune. Accludo una lettera direttami dal Sindaco fascista di Alfonsine ". Il Prefetto non si fece eccessive illusioni sulla possibilità o volontà dei suoi superiori di "fermare" Mossotti e di impedirgli il rientro ad Alfonsine per cui, negli stessi giorni, tentò altre vie per fermare questo irriducibile avversario del fascismo ravennate. Cercò, ad esempio, di raccogliere "dossier" facendo rovistare nel passato di Mossotti. Chiese un rapporto dettagliato su di lui al Comandante dell'11° Divisione Militare di Ravenna, il Generale C. Gianinazzi. 19 novembre: I carabinieri inviarono una relazione "Riservata" su Mossotti In essa si prendeca in esame in modo particolareggiato tutto il curriculum del Mossotti e non
venne mosso rilievo alcuno al personaggio. Anzi la conclusione della "Riservata" suonava tutto
sommato ad elogio di Mossotti: una ulteriore conferma della maggiore obiettività che caratterizzava l'Arma dei Carabinieri rispetto agli apparati di Polizia nei primissimi anni del fascismo. A tale relazione riservata il Comandante dei Carabinieri allegò "l'estratto dal Certificato Penale" di Mossotti dal quale non emergeva nessun precedente che smentisse la relazione sostanzialmente positiva riguardante l'alfonsinese d'adozione. 21 novembre: il Procuratore del re chiese informazioni al Prefetto Il Procuratore del Re, con due lettere datate 21 e 28 del mese, chiese al Prefetto informazioni sul Mossotti, perché a conoscenza delle manovre dei fascisti alfonsinesi (con alla testa il Sindaco Alberani) per vietargli il ritorno in paese. 25 novembre: il comandante della 11° Divisione Militare di Ravenna, il Generale C. Gianinazzi, spedì al Prefetto l'esito delle indagini. Nella sua lettera di accompagnamento egli attestò che sul "Tenente in congedo Mossotti sig. Ferruccio... a questo Comando non sembrano esistere gli estremi per prendere comunque in esame la sua attività politica dal lato compatibilità militare". 26 novembre: il Ministero dell'Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, De Bono informò il Prefetto che Cottafavi arrivava per inchiesta Il 26 novembre, il Ministero dell'Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, inviò al Prefetto di Ravenna il seguente telegramma: "Console Generale Cottafavi, da parte Direttorio Partito Fascista — Consiglio Nazionale Combattenti e Comando Generale della Milizia, è stato incaricato inchiesta sulla nota situazione locale di Alfonsine. Vossignoria vorrà provvedere perché inchiesta possa svolgersi ambiente sereno e massima indipendenza assicurando in ogni caso tutela ordine pubblico" 27 novembre: Prefetto informò Magistrelli che stava arrivando Cottafavi Il Prefetto telegrafò al Vice Commissario di Pubblica Sicurezza di Alfonsine, informandolo del prossimo arrivo del Generale Cottafavi incaricato dell'inchiesta sulla situazione alfonsinese. 28 novembre: Magistrelli scrisse al prefetto Il vice commissario Magistrelli aveva già pronta per il Prefetto una lettera Riservata (che gli inviò il 28 novembre) e nella quale faceva dipendere dall'assenza del Mossotti e dei fratelli Gessi, Mino e Beno, il migliorato clima in paese, dichiarandosi convinto che "una ricomparsa del Mossotti e cognati in paese non contribuirebbe alla pacificazione degli animi ma anzi fomenterebbe maggiormente gli odi, a tutto scapito della pace cittadina". La lettera di Magistrelli si concludeva con la notizia che Mino durante lo scontro del 20 luglio con i fascisti di Abele Faccani rimase ferito: "avverto che effettivamente il Mino Gessi, all'atto della costituzione nella Caserma dei Carabinieri, avvenuta due giorni dopo il conflitto, faceva rilevare di aver riportato, nella rissa, una ferita di striscio alla gamba destra" Il Prefetto fu, dunque, confermato nella sua convinzione: l'ordine pubblico ad Alfonsine sarebbe gravemente compromesso dall'eventuale rientro in paese di Mossotti e dei suoi cognati Mino e Beno Gessi. Purtroppo non potendo ancora contare su di una magistratura asservita al Regime, il Prefetto non potè escludere che i tre potessero effettivamente rientrare nonostante i tentativi suoi e del Sindaco Alberani per evitarlo. 28 novembre: seconda lettera del Procuratore del Re 29 novembre: Nuovo articolo di Mossotti su "La voce repubblicana" Mossotti il 29 novembre sulla «Voce Repubblicana» scrisse un'articolo dal titolo "Il regime fascista in Romagna. Il Sindaco di Alfonsine userà 'ogni mezzo' per salvare il proprio feudo" 29 novembre: Il Prefetto rispose al Procuratore del Re Il Prefetto, il 29, si mise subito alla scrivania e... rispose alla seconda lettera del Procuratore del Re. Come mai tanta fretta? La risposta sta nella mattutina lettura di quel giornale che era, oramai, uno dei pochi in Italia che osava "disturbare" il Fascismo: «La Voce Repubblicana». Infatti, anche quel 29 novembre, sul giornale, il Prefetto trovò... Mossotti. Letto l'articolo, l'alto funzionario decise di rispondere immediatamente al Procuratore il quale poteva avere più potere di lui nel "fermare" questo oppositore "irriducibile", tanto più che egli si trovava in libertà provvisoria in attesa del processo per il ferimento di Abele Faccani. Il Prefetto ripetè così il suo solito ritornello, e cioè che Ferruccio Mossotti era il principale responsabile degli incidenti che vedevano contrapposti fascisti ed antifascisti (sia ad Alfonsine che in Romagna) e che era un bene per tutti che gli fosse impedito il ritorno in paese proprio perché "l'eventuale ritorno di lui in Alfonsine non
potrebbe non determinare l'esplosione di sentimenti di ostilità profonda contro la sua persona, ed i fatti che ne seguirebbero, potrebbero soltanto in parte essere mitigati dall'azione per
quanto vigorosa e zelante, dell'Autorità di P. S. e dei pochi Fascisti locali capaci di sapersi contenere per spirito di disciplina... Mossotti stesso, con l'articolo
pubblicato sul numero odierno de «La Voce Repubblicana», lascia
inequivocabilmente intravedere anche i sentimenti dai quali tornerebbe animato ad
Alfonsine, poiché, fra l'altro, dichiara di voler "prendere a calci nel sedere" quel Sindaco, Cav. Alberto Alberavi, autore di una lettera a me diretta, nella quale il Tenente predetto vuole assolutamente vedere delle forti pressioni politiche in
pregiudizio dell'esito del procedimento penale iniziato a carico degli autori del già
accennato ferimento del Segretario politico Faccani... Il Sindaco di
Alfonsine... si è preoccupato esclusivamente di evitare che al Mossotti venisse fatto, dalle Autorità Centrali Fasciste o dal Governo, un
trattamento che potesse apparire di valorizzazione della di lui persona e risolversi a tutto danno del prestigio dell'autorità municipale e dei dirigenti di quella
Sezione Fascista... " 7 dicembre: Il Prefetto scrisse al Questore Il Prefetto
preferì cautelarsi, e inviò una richiesta urgente al Questore: 3 dicembre: Colpi di arma da fuoco contro la casa dei Gessi Nonostante
Mussolini seguisse la situazione di Alfonsine e si affidasse al Prefetto per
piegare i 'ras' locali ("d'intesa o anche senza lìintesa del
fascismo locale"), fu fatica sprecata. Nonostante sapessero dell'imminente arrivo da Roma di un "grosso" personaggio incaricato di condurre un'inchiesta approfondita su tutti i fatti accaduti, le intimidazioni e le violenze si intensificarono soprattutto nei confronti dei Gessi. In via Borse, dove abitava la famiglia Gessi, furono sparati numerosi colpi d'arma da fuoco contro la loro casa, anche se Mino e Beno non erano ancora rientrati. 10 dicembre: arrivò ad Alfonsine il Generale della Milizia Nazionale, Francesco Cottafavi, per l'inchiesta. Anche Beno Gessi tornò ad Alfonsine Il 10 dicembre da Roma giunge ad Alfonsine il Generale della Milizia Nazionale, Francesco Cottafavi, per l' inchiesta che i Fascisti, con in testa il Sindaco Alberani e le autorità di Ravenna, avevano cercato in tutti i modi di scongiurare ritenendola, già di per sé, una vittoria di Mossotti ed una sfiducia sostanziale al loro operato. L'inchiesta si presentava difficile anche perché erano molti gli episodi da verificare e complessi i rapporti interpersonali in continua evoluzione e modifica man mano che gli uomini più in vista nel paese si schieravano pro o contro i nuovi padroni. Il Cottafavi ordinò al Prefetto di inviare al Questore di Roma un telegramma cifrato ed urgente "ad esortare il tenente Ferruccio Mossotti a non muoversi da Roma prima che lui ritorni a Roma. "Recapito Mossotti: Palazzo Venezia, Associazione Combattenti". Ecco dove alloggiava il Mossotti a Roma. 12 dicembre: Beno Gessi ad Alfonsine venne minacciato dal padre di Abele Faccani, Emanuele Faccani. Caduti i vincoli giudiziari che obbligavano i fratelli Gessi e il Mossotti a risiedere lontano dal loro paese, Beno Gessi tornato ad Alfonsine si stava recando alla caserma dei Carabinieri per l'obbligo che aveva comunque di presentarsi ogni giorno. In Piazza Monti incontrò Emanuele Faccani, guardia municipale, armato di rivoltella d'ordinanza, che iniziò a provocarlo e a minacciarlo. Beno venne aiutato da alcuni e, fatta arrivare l'auto da casa propria, si recò a Ravenna dal Questore per informarlo. 14 dicembre: Mino Gessi tornò ad Alfonsine, e girò armato Mino Gessi tornò ad Alfonsine 4 giorni dopo il fratello. Saputo quanto era successo a Beno e le intenzioni dei Faccani, padre e figlio, di ucciderlo, egli usciva di casa armato con l'implicita autorizzazione degli stessi carabinieri: lo si deduce anche dal fatto che il Questore e lo stesso Prefetto predisposero misure atte a prevenire i possibili incidenti provocati dal suo rientro ad Alfonsine. 15 dicembre:
Il questore al prefetto informò della situazione esplosiva 17 dicembre: Frignani scrive su Santa Milizia contro i repubblicani Vita, dunque, difficile per i fratelli Gessi e per il loro cognato Mossotti, la cui campagna di stampa sull'organo del Partito Repubblicano continuava ad infastidire quanto mai il Partito Fascista non solo alfonsinese e ravennate, ma addirittura nazionale. In quella stessa settimana di dicembre 1923 in cui i fratelli Gessi rientrano uno dopo l'altro in paese, Giuseppe Frignani, Segretario della Federazione Provinciale del Fascio di Ravenna, sulla rivista «Santa Milizia», in un articolo dal titolo "Fascismo ed opposizione repubblicana" pubblicato sul numero del 22 del mese, invita i fascisti a considerare attentamente la realtà e cioè che in Romagna ci sono "nuclei di repubblicani irriducibili, esasperati, implacabilmente antifascisti, che non solo si contrappongono a noi, ma cercano talvolta di dividerci e di indebolirci con scissioni e con discordie abilmente fomentate". Ovvio che occorre concentrare contro questi irriducibili ogni sforzo perché, ribadisce Frignani, è il movimento repubblicano che "nella nostra zona ha per noi il maggior interesse".
La miccia era accesa e tutto scoppiò all'inizio dell'anno successivo |
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Sommario
degli anni dal '19 al '25 |