COME
FECERO I FASCISTI, alla fine del 1920,
A RIBALTARE LA
SITUAZIONE POLITICA ED ELETTORALE DI BOLOGNA E FERRARA,
E DOPO UN ANNO ANCHE DI RAVENNA ED ALFONSINE?
Alle
provocazioni fasciste studiate e organizzate in modo scientifico, le
reazioni delle 'Guardie Rosse' furono sempre militarmente
dilettantesche e incapaci di valutare gli effetti politici delle loro
azioni.
La
pubblicistica fascista aveva costruito ben presto il mito del “biennio
rosso” e della rivoluzione sovietica alle porte per accreditare il
fascismo come unico salvatore della libertà (s’intende della libertà
degli industriali e degli agrari) e dell’ordine.
I
fatti, però, sembrano smentire questa mitologia fascista e,
conseguentemente, la contro mitologia antifascista che ingigantì come
momento rivoluzionario l’occupazione delle fabbriche, dilatandone la
dimensione sindacale.
Guardie
rosse (socialisti)
Squadre
d'Azione (fascisti)
Intanto
a due passi da Alfonsine...
Anche
alle elezioni amministrative di BOLOGNA
e FERRARA
ci fu una netta vittoria elettorale dei socialisti, ma… proprio in
queste due città la
nuova violenza fascista attuò varie provocazioni e creò un clima
politico da guerra civile, con l’aiuto degli agrari bolognesi e
ferraresi, che avevano scoperto nel fascismo una nuova tutela
politica.
E
nel giro di poco più di un anno, soprattutto in Emilia, lo
squadrismo fu l’arma di cui, si servirono gli agrari per fermare il
movimento contadino e riconquistare le posizioni perdute.
I
fatti del 21 novembre del 1920, a Bologna, e di un mese dopo a Ferrara
segnano la svolta del fascismo. Da lì in poi fu il crollo dei
socialisti e l’ascesa dei fascisti.
A
Bologna il
31 ottobre del 1920 il PSI vinse le elezioni
amministrative, conquistando il Comune, l’Amministrazione
provinciale e quasi tutti i comuni della provincia.
Ebbe
20.195 voti (58,2%), contro 8.706 (26,5%) andati alla lista di destra
“Pace libertà lavoro” e 5.093 (15%) al PPI.
Nel
corso della campagna elettorale gli esponenti della lista di destra
– della quale faceva parte anche il Fascio di combattimento –
sostennero che avrebbero impedito ai socialisti di entrare a Palazzo
d’Accursio, se avessero vinto le elezioni per la seconda volta. Il prefetto si limitò a ordinare la deafissione dei manifesti
del Fascio con l’annuncio che squadre armate avrebbero assalito
Palazzo d’Accursio il giorno dell’insediamento
dell’amministrazione comunale.
I
massimalisti socialisti e la frazione comunista – che operava
all’interno del gruppo massimalista – decisero di organizzare squadre
di “guardie rosse” armate per fronteggiare l’assalto fascista.
21
novembre 1920:
Palazzo d’Accursio
Il
tragico eccidio di Palazzo d'Accursio ha risonanza nazionale e segna
l'inizio dell'ascesa fascista
Gli
agrari intanto appoggiarono e finanziarono le squadre armate fasciste,
che vennero soprattutto da Ferrara.
Palazzo d’Accursio fu parzialmente isolato da uno schieramento
leggero di soldati. Nella piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza
Maggiore) vi erano alcune centinaia di socialisti. In quella
attigua del Nettuno 300 fascisti armati erano bloccati dalla Guardia
Regia e altri premevano lungo via Rizzoli e via dell’Archiginnasio
per entrare nella piazza.
Enio
Gnudi, il nuovo
sindaco socialista di Bologna – che militava nella frazione
comunista – si presentò al balcone della Sala rossa per salutare la
folla. Dalla parte del caffè Grande Italia, all'angolo tra piazza
Nettuno e via Rizzoli, furono sparati colpi d'arma da fuoco contro il
palazzo e le persone che si trovavano nella piazza.
La
folla si sbandò e quando i cittadini cercarono rifugio nel cortile
del palazzo, le guardie rosse – appostate nel balcone della Sala
d’Ercole, attigua a quella della Sala rossa, ma le "guardie
rosse", che presidiano il palazzo, chiusero il portone e
gettarono dall'alto alcune bombe a mano. Prese dal panico, è
probabile che avessero scambiato per assalitori fascisti i cittadini
che cercavano rifugio nel cortile.
Nella
piazza si ebbero 10 morti – 7 persone decedettero subito e 3 nei
giorni seguenti – e non meno di 50 feriti.
Mentre
le vittime erano tutte di parte socialista,
nella sala del consiglio si verificò un’altra sparatoria. Una
persona rimasta sconosciuta, che si trovava tra il pubblico, cominciò
a sparare contro i banchi dei consiglieri di minoranza. Giulio
Giordani restò ucciso e i consiglieri Bruno Biagi e Cesare Colliva
riportarono lievi ferite. Oviglio e Colliva estrassero le rivoltelle,
ma – a loro dire – non spararono.
Il
tragico eccidio di Palazzo d'Accursio ha risonanza nazionale e segna
l'inizio dell'ascesa fascista: Giordani (che pur non era fascista ma
liberale) sarà considerato il primo
grande martire della rivoluzione fascista. La salma sarà esposta in
un'aula del tribunale e vegliata da picchetti di camicie nere armate.
I
funerali, celebrati il 23 novembre, vedranno sfilare i fascisti con il
gonfalone del comune, tra due imponenti ali di folla. Al consigliere
ucciso sarà in seguito intitolata la piazza davanti al tribunale.
La
giunta neo eletta di Gnudi sarà costretta a ritirarsi senza essersi
insediata, sostituita dal commissario prefettizio Vittorio Ferrero. La
polizia arresterà circa duecento socialisti e nessun fascista,
accreditando la tesi de "L'Avvenire d'Italia", che considera
i "rossi" colpevoli dei fatti luttuosi.
A
Ferrara il 20 dicembre 1920
Un
mese dopo i fatti di Bologna si verificò un altro grave episodio a
Ferrara, ove i socialisti, alle elezioni municipali del 31 ottobre e 7
novembre 1920, avevano conquistato tutti i 21 comuni della provincia e
il capoluogo. All’interno della città, il clima politico aveva
iniziato a surriscaldarsi il 9 novembre, allorché i socialisti
avevano cercato di ostacolare il corteo delle bandiere militari, di
ritorno da Roma, ove era stato solennemente celebrato l’anniversario
della vittoria. La situazione precipitò il 20 dicembre 1920, allorché,
per protestare contro gli avvenimenti bolognesi, vennero indetti dai
socialisti uno sciopero e una manifestazione; davanti al Castello
Estense, un migliaio di fascisti (molti dei quali affluiti da altre
località) cercò deliberatamente lo scontro coi dimostranti,
dichiarando di voler strappare le bandiere rosse che sventolavano sul
castello stesso, sede dell’amministrazione provinciale socialista.
Malgrado l'impossibilità di stabilire con certezza chi sparò il
primo colpo, e tenuta in considerazione pure l'ipotesi di un
provocatore, è evidente che in quel periodo furono i fascisti a
cercare spesso lo scontro e che furono sempre loro a trarre i maggiori
vantaggi dai disordini e dagli atti di violenza. Comunque secondo
alcune fonti mentre il corteo di protesta e commemorativo organizzato
dai fascisti si stava recando verso il teatro comunale un
gruppo di militanti rossi esplose numerosi colpi di arma da fuoco
lasciando a terra tre fascisti morti e numerosi feriti. I
primi colpi sarebbero stati sparati con varie armi dalla terrazza,
dalla loggia e dalla veranda dei locali della Deputazione Provinciale,
rivolti verso Piazza Pace e verso corso Vittorio Emanuele, oltre che
da alcune finestre del Teatro Comunale stesso. Restarono uccisi
quattro fascisti e due socialisti.
I
cortei funebri che si svolsero a Bologna e a Ferrara dopo entrambi
quei tragici fatti videro convergere verso le due città emiliane
numerosi componenti dei Fasci italiani di combattimento, delle
associazioni nazionaliste e anche numerosi cittadini di tutta
l’Emilia. Il corteo rese evidente a tutti il seguito del quale
godevano i fascisti, dimostrata dalla partecipazione di migliaia di
persone.
Questa prova di forza facilitò la definitiva affermazione
del fascismo a Bologna e a Ferrara.
A
partire da questo primo grosso scontro, guidati da Grandi e Arpinati nel
bolognese e da Italo Balbo nel ferrarese, i fascisti si lanciarono in
una serie di spedizioni, che portarono alla rapida destituzione di
quasi tutti i consigli municipali insediati alle elezioni
dell’autunno 1920.
Da
quel momento il fascismo si sviluppò e crebbe in tutta la penisola
italiana, ma soprattutto a Ferrara e Provincia, in maniera così
rapida e travolgente.
L'onda
lunga di tutto ciò arriverà ad Alfonsine nella seconda parte del
1922