Un
alfonsinese, guerriero solitario contro i fascisti di Alfonsine fin dal
1923.
Giacomo
"Mino" Gessi
un uomo di carattere
La sua memoria rischia di volare nel vento, come il suo corpo, a
Dachau, in un forno crematorio, il 6 febbraio 1945
Giacomo
“Mino” Gessi
a 34 anni,
nel 1924
al tempo dello scontro con i Faccani.
a cura di Luciano Lucci ( lucci@racine.ra.it
)
Molte informazioni per questo articolo sono tratte dal libro di Enzio
Strada "Mino Gessi: L'idea e la forza" ed "Il Ponte
Vecchio" anno 2000.
La vita
Personaggio
eroico, guerriero con carattere.
Giacomo
“Mino” Gessi fu perseguitato dai fascisti locali, fin dal 1923.
Di
famiglia benestante, proprietari di terre ma benvoluti da tutti, di
tradizione repubblicana, Mino Gessi nel
1911 emigrò in America, come un bohémien alla ricerca dell’avventura.
Finì presto i soldi, e il padre Eugenio dovette inviargli tremila lire per
il biglietto di ritorno. Un debito che bonariamente gli ricordava facendo
gracchiare il pappagallo che Mino aveva portato a casa dal viaggio, ogni
volta che lui entrava in casa “treméla frenc, treméla frenc”. A
24 anni fu col fratello Beno e il cognato Ferruccio Mossotti in prima fila
nella sommossa della Settimana Rossa alfonsinese. Fallita la sommossa, in
seguito alla repressione, Mino fu imprigionato (mentre suo fratello Beno e
il cognato riuscirono a fuggire in Svizzera).
Rimase
in carcere a Pesaro per 6 mesi.
La
"Settimana rossa" ad Alfonsine: giugno 1914
Piazza Monti: il Municipio incendiato
(un click sulla foto per avere un ingrandimento)
Fu
interventista per l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, da
bravo repubblicano, andò volontario anche se riformato. Indirizzato dal
padre non ci pensò due volte “per
difendere la patria in un momento di supremo pericolo”. Quando tornò,
Alfonsine era più povera (come del resto tutta l’Italia del dopoguerra)
con i cittadini in gran parte disoccupati e in guerra tra loro. Fu
attratto così dalla proposta di Mussolini di costituire un movimento che
potesse rilanciare repubblicanesimo e socialismo, in chiave più
nazionalista e con maggior dinamismo di quanto facevano i partiti di
allora.
Aderì
a questo nuovo movimento, ma ben presto si trovò attorniato da personaggi
che non stimava, giovani squalificati, violenti, spesso imboscati e
disfattisti, che odiavano quelli come lui, andati in guerra volontari e ora
fascisti per un ideale, mentre a loro interessava il proprio tornaconto.
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Un
guerriero samurai, uno Jeti
come Obi Uan Chenobi, o
come Clint Eastwood nei film di Sergio Leone in uno scenario da Far West
Amante della libertà e della giustizia, oltre che della tolleranza, uscì
dal movimento fascista e divenne il loro più acerrimo oppositore.
Fu come un guerriero samurai, in uno scenario da Far
West, incapace di subire ingiustizie, coraggioso, altero, una testa dura,
anticonformista, sfidò apertamente i fascisti alfonsinesi e rispose alle
loro aggressioni, pistola in pugno per difendersi; come il cavaliere
solitario di un vecchio western che lottava contro le prepotenze e le
ingiustizie sui più deboli; (quei film e quei personaggi sono sempre stati
la passione degli alfonsinesi... e non a caso).
Dentro il PNF
appena nato ad Alfonsine, fine estate del 1922, si sviluppò uno scontro
politico forte. Da una parte gli ex-repubblicani ed ex-combattenti della 1°
Guerra Mondiale che avevano aderito manifestando simpatie per i programmi
dei Fasci italiani di Combattimento fin dal 1919 (come i fratelli Mino e
Beno Gessi), e dall’altra i RAS locali (Sasdelli e Abele Faccani e
Alberani), che avevano assoldato, per i loro scopi di potere, giovani
violenti e desiderosi di guadagnarsi un posto nella nuova società. Alle violente scorribande delle
squadracce fasciste il Gessi oppose una resistenza individuale. Ciò lo
porterà a scontrarsi fisicamente due volte con i caporioni del fascio
alfonsinese.
Lo
scontro politico del 13 gennaio 1923
Il
partito fascista di Alfonsine si era screditato per la gente che lo
componeva e per gli atti di violenza esercitati. Perciò la sezione era stata
sciolta, ma il Sasdelli si era di nuovo proposto come 'rifondatore'.
Il 13 gennaio 1923, vigilia del Congresso Provinciale Fascista, vi fu un
colpo di mano nella riunione del fascio di Alfonsine, una sfacciataggine,
un insulto al metodo democratico: il nuovo partito dei cosiddetti
“rifondatori” aveva mostrato il suo vero volto. Uno dei primi a
capirlo ad Alfonsine fu proprio Mino Gessi che, quella sera, aveva
assistito, impotente ed incredulo al “blitz”, che aveva imposto come
segretario Abele Faccani. Senza indugio, il 15 gennaio 1923 Mino Gessi
prese carta e penna e scrisse al Dottor Giuseppe Frignani della
Federazione Fascista di Ravenna definendo, letteralmente, il
comportamento di Sasdelli e soci come un atto di “brigantaggio”.
Ecco
il testo della lettera:
Alfonsine 15
.1.1923.
Egregio Signor Frignani,
La sorte del nostro Fascio è decisa.
Oriani è arrivato una sera e alla mattina l’epurazione, la
ricostituzione, la nomina del Direttorio erano già fatte.
Sono state convocate in sede una quarantina di persone delle quali
trentasette contrarie alla corrente di Mariani e solo tre favorevoli.
Ed è naturale che sia riuscito eletto Faccani, Samaritani, suo genero
Lucherini e compagni; tutto questo nonostante le proteste di Oriani
specialmente per Faccani.
Ad Alfonsine succede quel
che non succede in nessuna parte d’Italia; che l’assemblea nostra è
sempre privata del voto e non può eleggersi il proprio Direttorio.
Il paese è
scandalizzato e giudica la manovra per sfuggire al voto dell’assemblea
un episodio di brigantaggio. Siamo così accomodati peggio di prima; perché
l’assemblea sostiene la precedente questione, che essa vuole nominarsi
il proprio Direttorio , e ciò è giusto.
Per disciplina di partito, noi non tenteremo nulla; ma è certo che noi
tutti non possiamo dare il nostro entusiasmo ad una causa che non
sentiamo.
Per il gruppo
F°: Mino Gessi, Ancarani Leonardo,
Antonio (il
cognome non è decifrabile con certezza).
Intanto i
fascisti avevano tentato di dividere e impadronirsi dell’Associazione
ex-combattenti: qui la convivenza tra fascisti e non fascisti era
difficile, tanto che alcuni fascisti arrivarono a uscire dalla Sezione e a
crearne un’altra. Ciò creò confusione fra tanti e comunque il
Direttivo della Sezione di Alfonsine degli ex-combattenti, composto dai
fratelli Gessi e dal Mossotti e da altri, pubblicò il 18 luglio 1923 un
manifesto dove si denunciava il fatto che i fascisti avevano ricevuto
l’ordine dai caporioni locali di creare una nuova Associazione
degli ex-combattenti, e che a questa avevano aderito solo in 8 su 250.
Lo scontro
da politico divenne fisico e sfociò il 20 luglio 1923 in una sparatoria
in cui rimase ferito ad una gamba rimase ferito Abele Faccani, segretario
del Partito fascista di Alfonsine, probabilmente da un colpo accidentale
partito dalla pistola del suo camerata Sasdelli. Incolpati di ciò, i
fratelli Gessi e il cognato Mossotti finirono in carcere per due mesi.
Tornati liberi, rientrarono coraggiosamente ad Alfonsine. La situazione
alfonsinese si fece sempre più pesante.
La scarcerazione di Beno e Mino Gessi non piacque ai fascisti locali. Essi
si sfogarono prendendo di mira il teatro-cinema di Eugenio Gessi, padre di
Beno e Mino, che subì una prima irruzione il 9 settembre del 1923 (era in
programma il drammone Pia de’ Tolomei).
Alcuni squadristi della sala cinematografica affollata salirono sul palco
e spararono diversi colpi di pistola a scopo intimidatorio. Le pallottole
sibilarono sopra la testa degli spettatori.
(I due noti squadristi furono individuati da un'indagine dei carabinieri:
Amadei Ferdinando e Baccarini Antonio, che subirono solo la sospensione
per sei mesi dal Partito Fascista).
Tra il pubblico fu il panico. Nel fuggi-fuggi generale, il tentativo
concitato all’uscita di scavalcare una rete col filo spinato fece sì
che in molti si ferirono, tra i quali cinque donne e anche un bambino di 8
anni. Il giorno dopo una donna GeltrudeTaddei, nata Antonellini, fece
pubblicamente in piazza Monti il nome dei fascisti che avevano sparato.
Per questo venne subito schiaffeggiata e malmenata da Romildo Sasdelli,
La notte del 2 gennaio 1924 tre individuo con passamontagna e dal volto
coperto abbatterono la porta di una signora in via Mazzini, ritenuta
amante di Mino Gessi. Entrati con rivoltella in pugno cercavano il Gessi.
Il giorno dopo il
3
gennaio 1924, alle 3 di notte, forzarono l’ingresso e incendiarono il
teatro cinematografo ‘Calderoni’ (è baracò), cosi detto perché su
richiesta della famiglia Gessi, era stato progettato e realizzato tutto in
legno dal falegname Antonio Calderoni.
Il
Teatro-Cinematografo "Aurora" detto e' baracò, dei Gessi,
incendiato e distrutto dai fascisti il 3 gennaio 1924
(un click sulla foto per avere un ingrandimento)
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Il 2 marzo
(era domenica) del
1924 Abele Faccani, segretario
del fascio, col fratello Giuseppe (Pinén) verso
le 18 incontrarono casualmente, sotto la rampa del fiume della Violina, Mino Gessi, col quale già avevano avuto una scontro violento un anno
prima.
Il Gessi
stava andando a prendere i sigari allo spaccio dei Graziani: il
primo negozio sotto il portico a sinistra nella foto qui di fianco.
Si incontrarono proprio in questo spiazzetto subito giù dalla
rampa e subito fu inevitabile lo scontro. Continuarono dentro al
negozio e nel retrobottega. La titolare della tabaccheria Luisa
Mazzotti non era presenta, ma c'era la sorella Angela (di 'Maestar')
che aveva un negozio di tessuti adiacente.
Questa
cercò di separare i contendenti, probabilmente prendendo le
difese del Gessi, che era solo contro due, e diede una spinta ad
Abele il quale cadde a terra (era ancora convalescente per una
ferita da arma da fuoco alla gamba avuta nello scontro precedente
sempre con Giacomo Gessi).
Il Gessi
riuscì allora a estrarre la pistola e a sparare due colpi che
colpirono Giuseppe Faccani a un polmone, e anche Abele. |
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Abele verrà
ricoverato all'ospedale di Bologna dove dopo 15 giorni morirà di
infezione alla ferita.
Alfonsine: funerale di Abele Faccani
Giuseppe (Pinén)
rimarrà in ospedale fino al 29 marzo
Gessi,
ferito alla testa e al volto per le percosse ricevute, riuscì a riparare
presso un contadino amico e, aiutato da varie persone, fuggì in Francia,
dove iniziò la sua battaglia antifascista.
La famiglia continuò a subire una
ininterrotta serie di angherie e violenze, che si riversarono anche su
quei cittadini, capaci ancora di un minimo di opposizione. Fu incendiata
la boaria dei Gessi di Taglio Corelli, boicottata l’attività economica
della famiglia, picchiati tutti coloro che avevano relazioni con i Gessi.
Mino fu processato in contumacia e condannato a 21 anni.
Mino
Gessi a Nizza con Sandro Pertini
A Nizza
in Francia aiutò amici e fuorusciti a stare insieme e ad agire per
accelerare la caduta del fascismo. Fu amico di tanti espatriati da cui si
fece benvolere: Luigi Campolonghi (socialista), Alceste De Ambris (ex-sindacalista-rivoluzionario,
compagno di D’Annunzio nell’impresa di Fiume, ruppe subito nel ’22
con Mussolini di cui diventò un acerrimo nemico), Sandro Pertini, Pietro
Nenni e tutti
gli altri coi quali creò la Lega per i Diritti dell’Uomo (LIDU). Rimase
comunque repubblicano e aderente a tale partito, ma quando i repubblicani
si opposero alla creazione di un fronte unito antifascista (non volevano i
comunisti), si adoperò a creare un nuovo partito: “Azione Repubblicana
Socialista”, che potesse unire le varie idee rivoluzionarie
dell’epoca.
Mino
Gessi a sinistra con Primo Babini
(e’ Pepa) a Nizza a cavallo degli anni '20-'30. La Lancia Lambda è di
Mino, acquistata dopo anni di lavoro, con la quale faceva servizi, per
campare.
Nell’immediato
dopoguerra dall’unione di tale nucleo con Giustizia e Libertà,
nascerà il Partito d’Azione.
Mino
Gessi visse sempre sotto pressione: subì aggressioni e il carcere anche
in Francia. Fu sempre controllato e richiesto dalla polizia fascista italiana, la
quale si adoperava per infiltrare sue spie nei gruppi clandestini. Come
tanti altri dirigenti antifascisti, anche Gessi si trovò a frequentare e
ad ospitare inconsapevolmente alcuni infiltrati dell’OVRA, che ne
avevano carpito l’amicizia, rendendo difficile la sua attività
politica.
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Internato in un campo di concentramento dal governo
collaborazionista di Vichy,
e
poi consegnato ai nazisti, a Dachau
Con l’avvento del
governo collaborazionista di Vichy in Francia, Gessi fu imprigionato perché
"ascoltava DeGaulle alla radio inglese" (1941) e poi internato nel
famigerato campo di concentramento francese a Vernet, sui Pirenei, vicino a
Tolosa: "come individuo pericoloso per la sicurezza pubblica"
(1942). Quando poi dopo la caduta di Mussolini nel luglio ’43, i nazisti
divennero ancora più spietati verso gli italiani antifascisti, obbligarono
il governo francese a consegnare gli italiani.
Mino Gessi fu avviato nel campo di sterminio di Dachau, nell’estate
del 1944, dove morì, malato di tifo, in un forno crematorio.
Sopravvisse fino a un paio di mesi prima che arrivassero gli americani (28
aprile 1945). A 54 anni, ormai indebolito, rimase anche in quella situazione
tenace, generoso, e coerentemente antifascista, come ebbe a testimoniare con una
lettera alla famiglia un suo compagno di sventura, deportato a Dachau, poi
sopravvissuto.
Cliccare
sulle foto per averne un ingrandimento
"Era deperito ma aveva un morale altissimo e una cieca speranza di
rivedere i suoi cari e la sua terra finalmente libera dal fascismo. Aveva una
forte tempra e un cuore d’oro da galantuomo. Nei pochi mesi che ebbi il
piacere di averlo vicino mi è stato di conforto e di guida. Prima di ammalarci
entrambi ci eravamo promesso - scambievolmente – che chi fosse sopravvissuto,
avrebbe portato il nostro ultimo saluto ai parenti" (Fernando
Giulianelli)
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Cagnes-sur-Mer (Nizza) :
la lapide, dedicata ai resistenti morti per la patria, porta anche il nome
di Giacomo (Jacques) Gessi. I Francesi, a pochi anni dalla fine della
guerra (1948), dettero a Gessi questo onore.
Solo nel 2000
il Comune di Alfonsine gli ha dedicato una via ed ha inserito il suo
nome in un monumento al'ingresso del cimitero locale.
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Mino Gessi: fu un mito, allora, per molti
alfonsinesi;
lo può essere ancora oggi
Non si tratta solo
di conservare la memoria di quei giorni, ma soprattutto di scoprire il
carattere, l’anima degli alfonsinesi, in particolare tramite quelli che
hanno dato il meglio di sé e che possono alimentare, anche se non più
presenti tra noi, stati di grazia, di carattere, di forza
e di felicità per chi vive in questo paese e vuole succhiare il
meglio che c’è nell’aria.
Mino Gessi,
come tutti i guerrieri, eroi, pionieri, da qualsiasi
parte provengano, anche dal passato, non vanno considerati come simboli
esterni, cartoline ingiallite da mettere nei musei, ma vanno scoperti come
generatori di esperienze vitali.
Mino Gessi è come
un prototipo di guerriero, non del tutto un militante e neanche un
militare (anche se paradossalmente fu sia appartenente al Partito
Repubblicano, sia idealista e interventista-volontario nella prima guerra
mondiale)
Il significato di
"guerriero" qui va inteso come uno capace di generare
lampi di carattere, e Mino Gessi lo fu.
Fu emblema dell’anima
romagnola, libertaria e tollerante, ma anche passionale e selvaggia,
difensore della propria famiglia e di sé stesso, coraggioso, contro le
ingiustizie e ogni prepotenza, non proprio uno stinco di santo, ma capace
anche di unire il proprio destino a quelli che lottarono contro il
fascismo come sistema.
La sua figura ci
insegna ad essere capaci di imprudenza creativa (una specie di sostanze
divina, abbastanza rara oggi), e davanti alle difficoltà e agli ostacoli
ad alzare il tiro, e poi alzarlo ancora. Le cose essenziali della vita –
l’amore, l’amicizia, l’avventura, la morte – avvengono fuori dagli
schemi, e dalle regole, e il pioniere-cowboy è più affascinante del
burocrate. Mino Gessi fu come un pioniere che operò in tutte le zone
calde dell’esperienza umana del suo tempo, quella dei grandi sogni (l’America
come luogo mitico in cui emigrare), dei grandi eventi rivoluzionari
e delle grandi passioni civili, (la "Settimana Rossa,
la "Grande Guerra"), delle grandi tragedie,
(il fascismo, il nazismo e i campi di
sterminio), delle grandi rivolte (l’antifascismo).
Mino Gessi fu un
pioniere e un guerriero in quanto visse sempre sotto pressione; nonostante ciò mantenne la capacità di irradiare una specie di stato di
grazia, di entusiasmo, di forza, tanto da diventare quasi una leggenda
alfonsinese.
La figura di Mino
Gessi piace soprattutto perché, pur essendo una figura sociale dipendente
dalla storia (settimana rossa, fascismo, antifascismo, campi di sterminio
nazisti), il suo fascino e la sua singolarità sono stati tali,
indipendentemente dalla storia.
In realtà Mino
Gessi non è mai stato un emigrante in senso storico, ma quasi più un
bohémien-hippy, non fu un antifascista tradizionale, (difatti non è mai
stato riconosciuto da alcun partito)
Eppure riesce
a esprimere qualcosa di misterioso, affascinante come i cavalieri buoni e
solitari dei film western, di singolarmente unico: alla ricerca di un’identità,
assaggiò, sì, qualche boccone dall’intero banchetto di teorie
politiche, anarchia, repubblicanesimo, socialismo, comunismo, ma non
appartenne mai interamente a nessuno partito: per tradizione famigliare di
ideali repubblicani, fu anche attratto all’inizio dal carattere
organizzativo e attivo del primo fascismo, da cui si distaccò subito: il
suo successivo antifascismo fu più istintivo, individualista, contro gli
opportunisti e i vigliacchi che si impadronirono del paese di Alfonsine,
con la violenza e l’illegalità.
Solo contro tutti
arrivò allo scontro armato, per difendersi. Il fascismo come sistema
divenne il suo nemico, perché gli impediva di tornare a casa dalla sua
famiglia, rovinava la sua famiglia e i suoi concittadini nello spirito
oltre che nel corpo.
Dovette affrontare,
ancora da solo, la sua ultima sfida contro la più potente macchina di
morte che c’era sulla terra in quel tempo: il nazismo tedesco e i suoi
campi di concentramento.
La sua forza e il
suo carattere questa volta non bastarono, ma la sua idea della vita sì,
perché è arrivata fino a noi.
E se qualcuno oggi potesse
incontrarlo, si appassionerebbe ancora alle sue vicende, alla sua
personalità, alle sue idee.
a cura di Luciano Lucci ( lucci@racine.ra.it
)
Molte informazioni per questo articolo sono tratte dal libro di Enzio
Strada "Mino Gessi: L'idea e la forza" ed "Il Ponte
Vecchio" anno 2000.
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