Nel
1922 quando ad Alfonsine si formò la sezione del partito
fascista, aderirono ragazzini dai 17 anni ai 20. Videro in quel
movimento politico un'occasione di riscatto, il sogno di uscire
dalla miseria delle famiglie in cui erano nati. Divennero
fascisti
sul filo dell'entusiasmo della prima giovinezza e parteciparono
alla 'Marcia su Roma'.
Furono
manovrati
da Abele Faccani e da Romildo Sasdelli, quest'ultimo nato a
Faenza, ma abitante ad Alfonsine, era stato incaricato dal fascio di
Argenta di prendere le redini del partito fascista alfonsinese.Iniziarono
così le intimidazioni squadriste fatte con schiaffi, minacce,
bastonature, distruzioni, e a volte reazioni di chi non voleva
subire.
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Romildo
Sasdelli
Mino
Gessi
Sasdelli
mise in difficoltà coloro che per primi avevano aderito ai Fasci di
Combattimento con purezza d'intenti, come Marcello Mariani, che nei primi
anni venti comandava le squadre e una corrente del partito, e come Mino
Gessi, volontario combattente della Grande Guerra,
che aveva aderito al fascismo, ma che non poteva tollerare di
vedere tra gli squadristi ex-anarchici, disertori, disfattisti,
violenti, gente opportunista senza ideali.
Sasdelli
utilizzò i giovani più esuberanti e violenti, creando così un reparto
parallelo di squadristi, non più sotto il controllo di Marcello Mariani.
Con quelli attuò la sua politica: istigandoli a mettere in atto una serie
continua di azioni violente e intimidatorie, nei primi anni del fascismo.
Così disse Scuscén, uno di quei giovani squadristi, ad Arturo dla
Canapira, riguardo a una aggressione: "... Sasdelli,
me lo indicò. Io ero come il cane da caccia. Sono andato e l'ho
bastonato... non però violentemente..." Poi nascondeva la mano, e pubblicamente prendeva la distanza da quelle
azioni, che erano deplorate dalla cittadinanza e anche dagli organi
fascisti superiori.
Tra sera del 29 e
la mattina del 30 ottobre del 1922: due morti
Il
primo ad essere ucciso fu un fascista
Così
capitò che la prima vittima alfonsinese a rimetterci la vita fosse un
fascista: Giuseppe
Baldini ucciso la sera del 29 ottobre del '22 ad Alfonsine,
in un caffé di Borgo Fratti: era diventato fascista per lavorare come
facchino. Fu ucciso con una coltellata durante
una lite da uno dei facchini del gruppo sociaslista, che
gli contestò tale azione opportunistica e che non lo voleva nelle sede
del caffé dei socialisti.
Una
parte degli squadristi fascisti erano ancora a Roma per le giornate della
famosa "Marcia su Roma". Quelli rimasti si mobilitarono per
vendicare il loro camerata ucciso e andarono a devastare il caffé della
Vittoria Calderoni moglie di Pagani, posto sotto i portici di piazza
Monti, poi incendiarono la sede dei Repubblicani nel 'Lazzaretto' e
stavano per assaltare la 'Casa dei Socialisti', nell'attuale 'Casa del
Popolo', al di là del 'ponticello' sul Senio.
Qui
si era arrampicato sull'argine il giovane repubblicano Peo Bertoni, che
faceva il calzolaio in piazza Monti, e che alla vista delle fiamme, voleva
controllare cosa stesse bruciando, temendo non solo per la sede dei
repubblicani, ma anche per il suo negozio e per la sua casa in corso
Garibaldi, che stava proprio in quei giorni costruendo.
Intravisto
e riconosciuto dai fascisti che si erano raggruppati sull'argine destro,
uno di questi fece fuoco e colpì a morte il povero Bertoni.
La
paura tra la gente era tale che - ha raccontato Arturo Montanari 'dla
canapira' che nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi e di coprire il
corpo del povero Bertoni. Solo un certo Zaniboni detto 'Zalembo'
dopo qualche tempo, verso mattina quando ormai albeggiava, trovò il
coraggio di farlo.
In questo modo il
Sasdelli si impose come il vero ras locale, a cui dovette far riferimento
Alberto Alberani quando si candidò per il PNF all'elezione di sindaco nel
dicembre 1922. Lo scontro con i fascisti idealisti come Mariani e Gessi
sulla gestione del partito e in particolare delle squadre portò questi
ultimi a protestare presso il federale del PNF Frignani, il quale appoggiò
comunque il Sasdelli.
I fratelli Giacomo e Beno
Gessi, figli di Eugenio, insieme al cognato Ferruccio Mossotti ebbero uno scontro duro
con i capi del partito fascista di Alfonsine.
Questi nelle figure di Abele
Faccani, che era riuscito a farsi eleggere Segretario del fascio
alfonsinese. e di Sasdelli
Romildo, fermarono Ferruccio Mossotti e i suoi cognati Mino e Beno Gessi: nella concitazione partì un colpo dalla
rivoltella del camerata Sasdelli, fondatore del partito fascista ad Alfonsine,
che si conficcò nella gamba del suo segretario politico Abele Faccani.
Era il 20 luglio
1923.
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Abele Faccani incolpò Beno e Giacomo
Gessi, il
quale dichiarò nel processo che non era stato il suo
revolver a colpire Abele.
Il 9
settembre del 1923
Dopo due mesi di detenzione dei
fratelli Gessi furono messi in libertà provvisoria, con l'invito a non
risiedere ad Alfonsine.
La
scarcerazione di Beno e Mino Gessi non piacque ai fascisti locali. Essi si
sfogarono prendendo di mira il teatro-cinema di Eugenio Gessi, padre di
Beno e Mino, che subì una prima irruzione
il 9 settembre del 1923 (era in programma il drammone Pia de’ Tolomei).
Alcuni
squadristi della sala cinematografica affollata salirono sul palco e spararono
diversi colpi di pistola a scopo intimidatorio. Le pallottole che sibilarono
sopra la testa degli spettatori.
(I due noti squadristi furono individuati da
un'indagine dei carabinieri: Amadei Ferdinando e Baccarini Antonio, che
subirono solo la sospensione per sei mesi dal Partito Fascista).
Tra il pubblico fu il panico. Nel fuggi-fuggi generale, il
tentativo concitato all’uscita di scavalcare una rete col filo spinato fece sì
che in molti si ferirono, tra i quali cinque donne e anche un bambino di 8 anni.
Il giorno dopo una donna GeltrudeTaddei, nata Antonellini, fece
pubblicamente in piazza Monti il nome dei fascisti che avevano sparato.
Per questo venne subito schiaffeggiata e malmenata da Romildo Sasdelli,
membro di spicco del direttorio del fascio alfonsinese.
1923-24
due anni da incubo ad Alfonsine
Lo
squadrismo fascista in azione
Si
creò così una situazione impressionante, che portò più volte allo
scioglimento della sezione fascista alfonsinese da parte degli organi
superiori, all'espulsione dal partito fascista di vari iscritti, fino a
interventi dello stesso Mussolini.
Ma
chi manovrava il tutto erano i Ras locali come Sasdelli e a Ravenna il
Segretario provinciale del fascio Frignani. Questo clima si prolungò fino
alle elezioni del 1924. E' di quei giorni la testimonianza documentata del
Commissario di Pubblica Sicurezza di Alfonsine Veronesi che in una
relazione "riservatissima" al Questore di Ravenna, il 9 aprile
del 1924 racconta la "Situazione e ordine pubblico" ad
Alfonsine.
In dicembre del 1923 al processo i
fratelli Gessi furono scagionati per mancanza di prove. Uno dopo l'altro
rientrarono in paese.
Il 4 gennaio 1924
Sparsasi la voce della loro
scarcerazione, gli squadristi si scagliarono ancora contro il
cinema "Baracò" e lo incendiarono completamente.
Eugenio
Gessi
Eugenio Gessi,
padre dei fratelli Mino e Beno, era un possidente terriero e uomo di spicco
in Alfonsine, in società con Sebastiano Santoni, aveva fatto costruire un
teatro-cinematografo, tra i primi
a nascere in Romagna, un primato per Alfonsine. Costruito tutto in legno
da un falegname di nome Antonio Calderoni, la gente lo chiamò amichevolmente ‘e
baracò’, il baraccone. Dalle
memorie di Vincenzo Ballardini troviamo che “per iniziativa del
Concerto Musicale sorse dapprima sulla Piazza Vincenzo Monti un fabbricato
in legno a pianta ottagonale che la gente battezzò 'Baraccone', e tal nome
sempre gli rimase. Trasportatolo poi nel Carraretto Venturi servì per
balli e rappresentazioni finché un incendio lo distrusse. Sullo stesso
spazio si fabbricò tosto un teatro in muratura”.
Era situato quindi nel borgo del paese vecchio detto ‘e
lazarèt’, via Carraretto Venturi.
Lì si andava la domenica a vedere le
storie e le comiche in pellicola muta.
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Nel
marzo del 1924, dopo un mese di continue minacce
e provocazioni, oltre che aggressioni, i nuovi episodi violenti sfociarono
in un conflitto a fuoco nel centro di Alfonsine tra Mino Gessi, da poco sfuggito
a un’imboscata nel Borgo Gallina-Seganti, (e per questo andava in giro armato),
e Abele Faccani, istigato dal fratello Giuseppe. Era un pomeriggio del 2 marzo
1924, quando Mino Gessi, recatosi alla tabaccheria Graziani, sotto i portici a
ridosso dell’argine del Senio, nel paese vecchio, fu aggredito dai fratelli
Faccani. Malmenato e quasi sopraffatto dalle botte, estrasse la pistola e ferì
Abele e il fratello. Sanguinante, fuggì, e fu costretto alla latitanza, quindi
all’emigrazione politica nel sud della Francia. (Antifascista conseguente,
verrà consegnato ai tedeschi dai collaborazionisti francesi e finito in un
forno nel lager di Dachau il 6 febbraio 1945).
Il cippo in Francia che
ricorda Giacomo Gessi
(un click o un tocco per avere
l'ingrandimento)
A
terra rimasero feriti i due fratelli. Mentre Giuseppe Faccani si rimise
dal colpo di rivoltella al polmone, Abele morì dopo poco più di due settimane,
all’ospedale di Bologna, per infezione alla ferita da arma da fuoco.
Lo
squadrismo fascista si scatenò contro la famiglia Gessi con incendi e
spari. Una quarantina fra parenti e amici del Gessi vennero percossi.
Poi
arrivò il giorno di elezioni politiche (6 aprile 1924)
Il
5 aprile del 1924
fu picchiato Antonio Galvani, sensale, bastonato da cinque individui di
cui uno in divisa. Tra loro c'era il Faccani.
Poi fu incendiato il negozio di elettricista di Leonardo Errani e
Francesco Biffi, repubblicani.
Il
6 aprile Bruno
Contessi, appena uscito dal seggio elettorale e aver votato la Lista
Nazionale, fu bastonato dal Faccani perché parente dei Gessi.
Nella
notte del 6 fu
saccheggiato il negozio di Caffé e Liquori di Vittoria Calderoni,
asportati liquori, oggetti e denaro... (Il Commissario scrisse che
riteneva il promotore Antonio Mirri spalleggiato da altri compagni
fascisti, dato che anche l'anno prima aveva compiuto un'azione analoga).
Nel
pomeriggio del 7 a
Pagani Tommaso viene ingiunto di smettere il lavoro di costruzione
edilizia avviato (stava costruendo il Caffé Victoria e l'albergo "Al
Gallo"), 'con minacce di danni agli averi e alla sua persona' da
parte di Secondo Ricchi (Baràs), membro della milizia fascista.
Sempre
il 7 un
ex-repubblicano Riccardo Bosi venne bastonato in via Mazzini da Giuseppe
Pagani (Gigì dla Mureta) e dal Ricchi, e poi stessa sorte toccò a un
ragazzino di 16 anni. Nella notte incendiarono il negozio di merci,
tabacchi, salami di Angela Mazzotti e della sorella (i maestar).
Sempre
il 7 tre
persone furono inseguite da Secondo Ricchi, Giuseppe Argelli, Mirri
Antonio e Giuseppe Pagani, con bastoni in mano. Riuscirono a fuggire
abbandonando le biciclette, che furono smontate e distrutte poi gettate
nel fiume, tra queste vi era Guido Errani.
Giuseppe Margotti fu minacciato di morte da Ricchi e Argelli (Scuscén)
costretto a rimaner chiuso in casa.
Scuscèn
all'epoca dello squadrismo
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Insomma
in concomitanza con le elezioni politiche del 6 aprile ad
Alfonsine un gruppo di squadristi inquadrati nella milizia
fascista
'hanno
girato di giorno e di notte per le vie del paese incutendo
terrore, -
scrisse il Commissario di Pubblica Sicurezza - e
se per i fatti avvenuti non sono in grado in questo momento di
fornire le prove all'autorità giudiziaria... in questo rapporto
posso esprimere la convinzione che essi sono gli autori.' ....
e propose 'l'eliminazione
immediata dal Fascio e dalla Milizia di Faccani Giuseppe, Ricchi
Secondo, Giuseppe Argelli, Pagani Giuseppe, e Mirri Antonio...
Ricchi Secondo ha tutti i caratteri del delinquente comune,
violento, direi quasi sanguinario...
Argelli
Giuseppe è un giovane impulsivo con tendenza a delinquere.
Durante il tempo di questa gazzarra politica ne ha commesso di
tutti i colori ed alcune azioni hanno rivestito il carattere di
reati, le cui denunzie... sono state omesse per la delicata
opportunità politica del momento...'
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Le
azioni intimidatorie continuarono per tutto l'anno con percosse e minacce
ad altre persone, soprattutto repubblicani, oltre a più di un incendio
del Circolo Repubblicano.
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